Secondo una ricerca olandese, chi vede aggravare la depressione dopo i 50 anni sarebbe più a rischio di sviluppare demenza negli anni successivi
Potrebbe esserci un'origine comune alla base della depressione e del decadimento cognitivo nel corso della terza età? L'ipotesi non è da escludere, a leggere le conclusioni di uno studio appena pubblicato su The Lancet Psychiatry. A preoccupare, più che le forme croniche, sarebbero quelle che insorgono una volta superati i cinquant'anni. è da questa età in avanti che eventuali episodi depressivi meriterebbero un'attenzione particolare, anche allo scopo di prevenire l'insorgenza di una forma di demenza senile: tra le quali l'Alzheimer è la più diffusa.
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UN'INDAGINE SU OLTRE TREMILA PAZIENTI
A questa conclusione è giunto un gruppo di ricercatori dell'Università di Rotterdam, dopo aver osservato per dieci anni 3.325 cittadini olandesi, arruolati nello studio dopo aver spento cinquantacinque candeline. Tutti, in fase di avvio della ricerca, avevano segnalato al proprio medico di base o a uno specialista almeno un episodio depressivo. Ma nessuno presentava alcun campanello d'allarme che facesse sospettare un imminente decadimento cognitivo. I pazienti sono stati suddivisi in cinque gruppi, a seconda della forma depressiva manifestata all'avvio della ricerca: lieve; moderata con un successivo decremento; lieve, prima di crescere e rientrare nei livelli di partenza; lieve con un progressivo incremento; costantemente grave. Dopodiché sono stati monitorati per un totale di ventuno anni: undici per verificare l'andamento dei sintomi depressivi e successivi dieci per valutare la comparsa dei primi segni di demenza.
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DEMENZA PIU' PROBABILE SE LA DEPRESSIONE PROGREDISCE
In totale 434 sono le persone che hanno sviluppato una forma di demenza (348 le vittime della malattia di Alzheimer) nel corso dello studio. Ma se all'interno del gruppo che manifestava i sintomi di una appena accennata forma depressiva soltanto il dieci per cento negli anni ha sviluppato una forma di demenza, il rischio è apparso più che raddoppiato nei pazienti (poco più di uno su cinque) in cui la depressione s'era acuita col passare degli anni. Più esposti al rischio sarebbero dunque gli over 55 che vedono peggiorare i sintomi depressivi.
Nessuna maggiore probabilità invece per i pazienti che, pur partendo da una grave forma del male oscuro, erano andati incontro a un miglioramento delle proprie condizioni. Evidenze che hanno spinto Arfan Ikram, ricercatore neuroepidemiologia all'Erasmus Medical Center di Rotterdam, ad affermare che «il graduale aumento dei sintomi depressivi potrebbe far prevedere una futura diagnosi di demenza senile. Lo stesso rischio non esisterebbe invece per le forme croniche e remittenti».
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DALLA DEPRESSIONE?
LA «PERDITA» DI NEURONI ALLA BASE DELLE DUE MALATTIE?
Come scritto anche da Simone Reppermund, ricercatrice del dipartimento di studi sull'invecchiamento cerebrale dell'Università di Sidney, in un commento apparso sulla stessa rivista, «le conclusioni vanno prese in considerazione, sebbene al momento non sia chiaro come la depressione influenzi il rischio di sviluppare una malattia neurodegenerativa». Non è però la prima volta che viene formulata l'ipotesi di una comune origine molecolare delle due malattie.
A confermarlo è Giovanni Biggio, ordinario di neuropsicofarmacologia all'Università di Cgliari. «Negli ultimi quindici anni, grazie agli studi effettuati con la risonanza magnetica, abbiamo capito che la riduzione di alcune aree cerebrali, in particolare dell’ippocampo e della corteccia cerebrale, è uno dei fattori patogenetici della depressione.
I neuroni, in caso di patologia depressiva, si predispongono a ricevere soltanto gli stimoli negativi provenienti dal cortisolo, una molecola secreta dal surrene, fondamentale per il nostro cervello. La sua presenza in concentrazioni elevate negli stati di stress prolungato mina la funzione dei neuroni e fa perdere loro il trofismo necessario alla rigenerazione tissutale».
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LA PREVENZIONE PASSA DAL CONTROLLO DELL'INFIAMMAZIONE
Chiaro è che se una simile ipotesi dovesse essere confermata, potrebbero convergere anche le strategie di prevenzione. Da anni si sta indagando il ruolo che l'infiammazione gioca nell'insorgenza di alcune forme depressive: non si tratta probabilmente dell'unica causa, ma la sensazione è che rivesta un ruolo sempre meno marginale.
Idem dicasi per le diverse forme di demenza. Motivo per cui il consiglio è quello di seguire una dieta povera di zuccheri semplici, grassi e proteine animali e di non abbandonare mai l'attività fisica: basterebbe percorrere a piedi un chilometro e mezzo al giorno per ridurre il rischio di declino cognitivo. E pure di depressione.
Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).