Cambia l’approccio alla malattia. Spegnere l’infiammazione la chiave per sconfiggerla. Nell’attesa è possibile fare prevenzione
Cambia l’approccio alla malattia. Spegnere l’infiammazione la chiave per sconfiggerla. Nell’attesa è possibile fare prevenzione
I dati lasciano poco spazio alle interpretazioni. Complice l’innalzamento dell’età media nei prossimi decenni si verificherà un’impennata nel numero di persone colpite da malattie neurodegenerative ed in particolare da morbo di Alzheimer. Un problema sociale non di poco conto nel quale la ricerca scientifica giocherà un ruolo fondamentale. Come dichiara la professoressa Michela Matteoli dell’Università degli Studi di Milano e direttrice del “Neuroscience Program” all’Istituto Clinico Humanitas, «Oggi siamo di fronte ad un bivio. Negli ultimi anni è cambiato drasticamente l’approccio alla malattia. Il futuro nel trattamento dell’Alzheimer sarà strettamente legato alla nostra capacità di spegnere l’infiammazione».
LA MALATTIA- Secondo le ultime stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 2050 le persone colpite da Alzheimer saranno più di 107 milioni. Un numero impressionante che inciderà in maniera notevole sui conti dei sistemi sanitari nazionali. Il morbo, la devastante malattia neurodegenerativa osservata per la prima volta nel 1906 dal medico tedesco Alois Alzheimer, si caratterizza per il progressivo decadimento delle funzioni cognitive. Caratteristica comune a tutti i malati è la presenza di ammassi neurofibrillari e placche amiloidi a livello del cervello.
CAMBIO DI PARADIGMA- L’evidenza scientifica della presenza di queste placche ha portato i ricercatori di tutto il mondo a sviluppare strategie per eliminare l’accumulo di queste proteine aberranti. Una strategia che, alla luce delle ultime evidenze scientifiche, sembrerebbe destinata ad essere sostituita. «La svolta –spiega la Matteoli- si è verificata negli ultimi anni. Prima ad essere considerata dannosa era la placca amiloide. Oggi abbiamo invece l’evidenza che questi ammassi possono essere presenti anche in persone perfettamente sane. Ad essere pericolose sono quelle specie solubili che si disgregano da esse. In sostanza la formazione della placca potrebbe addirittura rappresentare un meccanismo di difesa fino a quando regge. Quando l’equilibrio viene interrotto le placche rilasciano frammenti solubili in grado di danneggiare i neuroni portandoli verso la morte».
RUOLO DELLA MICROGLIA- Alla luce di queste evidenze è facile intuire il cambio di strategia. Ora l’attenzione dei ricercatori non è più rivolta verso la distruzione delle placche bensì verso quegli attori che causano la formazione dei frammenti solubili. Attori che hanno un nome: la microglia, cellule che fungono da “sistema immunitario” del cervello. Esse sono in grado, in caso di allerta, di eliminare i potenziali pericoli. Se però rimangono attivate per troppo tempo allora nel tessuto cerebrale si genera un’infiammazione capace di spostare l’equilibrio verso un maggior rilascio di proteine solubili. «Ecco perché la sfida per il futuro, se vorremo trattare con successo l’Alzhemier, sarà quella di ridurre in maniera specifica l’infiammazione causata dalle cellule della microglia» spiega la Matteoli.
PREVENZIONE- Intanto, nell’attesa di nuove terapie basate su questo innovativo approccio, anche per questo genere di malattie è oggi possibile fare prevenzione. L’attività fisica in particolare giova al cervello. «Oggi abbiamo la dimostrazione scientifica che i neuroni, in assenza di malattie, non invecchiano. Non solo, posso addirittura rigenerarsi. Quest’ultimo dato è straordinario ed è associato ad uno stile di vita sano. Alcune ricerche hanno dimostrato che in animali da laboratorio, costretti ad una regolare attività fisica, si registrano innalzamenti a livello cerebrale di BDNF, un fattore che sostiene la sopravvivenza dei neuroni già esistenti e favorisce la crescita e la differenziazione di nuovi neuroni e sinapsi» conclude la Matteoli
La professoressa Michela Matteoli modererà la sessione su “cervello e invecchiamento” a The Future of Science nel pomeriggio di venerdì 20 settembre. Per i dettagli consulta il programma.
Daniele Banfi
Giornalista professionista del Magazine di Fondazione Umberto Veronesi dal 2011. Laureato in Biologia presso l'Università Bicocca di Milano - con specializzazione in Genetica conseguita presso l'Università Diderot di Parigi - ha un master in Comunicazione della Scienza ottenuto presso l'Università La Sapienza di Roma. In questi anni ha seguito i principali congressi mondiali di medicina (ASCO, ESMO, EASL, AASLD, CROI, ESC, ADA, EASD, EHA). Tra le tante tematiche approfondite ha raccontato l’avvento dell’immunoterapia quale nuova modalità per la cura del cancro, la nascita dei nuovi antivirali contro il virus dell’epatite C, la rivoluzione dei trattamenti per l’ictus tramite la chirurgia endovascolare e la nascita delle nuove terapie a lunga durata d’azione per HIV. Dal 2020 ha inoltre contribuito al racconto della pandemia Covid-19 approfondendo in particolare l'iter che ha portato allo sviluppo dei vaccini a mRNA. Collabora con diverse testate nazionali.