In un ricerca il finto farmaco ha mostrato di sollevare l’umore del 40 per cento dei pazienti. Si potrà sollecitare questa risposta endogena in più persone? O usare la prova per scegliere il giusto antidepressivo?
Se rispondi bene a un placebo, risponderai bene anche all’antidepressivo. Questo è il risultato di una ricerca dell’University of Michigan Medical School sulla cura della depressione pubblicata su Jama Psychiatry. Di 35 persone depresse fin lì non curate per il loro disturbo dell’umore, il quaranta per cento si è sentito meglio dopo avere ricevuto finti farmaci, placebo, che però loro credevano curativi. La stessa quota di pazienti ha poi mostrato una buona risposta assumendo medicine vere, a differenza degli altri. Analizzando la loro chimica cerebrale con vari tipi di scanner, tra cui la Pet, si è visto che la zona sollecitata dal placebo era la stessa “accesa” dal farmaco vero, e che era posizionata nell’area delle emozioni. Visto che nel mondo si contano 350 milioni di depressi, il nostro studio - notano i ricercatori americani - indica un prezioso obiettivo cui puntare: trovare come amplificare la risposta “naturale” del cervello contro la depressione. Chiunque intuisce i vantaggi di una cura che potrebbe essere indotta spontaneamente, per lo meno in un forte numero di persone.
PERCHE’ L’AUTOCURA?
«È ovvio che se 40 persone su cento escono dalla depressione col solo aiuto di un finto farmaco, io scienziato voglio sapere perché», osserva il dottor Jon-Kar Zubieta, il capo del team. Gli studiosi dell’Università del Michigan sono specialisti nella ricerca sul placebo, cui si dedicano da dieci anni, e hanno mostrato che il sistema antidolorifico naturale, il recettore mu degli oppioidi, governa la risposta al dolore mentale e, quando appunto entra in azione spinto dal solo convincimento del malato di stare assumendo sostanze antidepressive, assicura - come ulteriore benefit - che col vero farmaco gli effetti collaterali saranno molto minori. «Sono sorpreso da questi risultati», ammette Andrea Fagiolini, ordinario di Psichiatria all’Università di Siena, «però sono logici».
LA LOGICA SOTTESA
Perché? «Perché il cervello che con un minimo stimolo (il placebo, la convinzione del paziente che sia vero farmaco) riesce a mettere in atto meccanismi endogeni di cura, tanto più ci riuscirà se è stimolato da vere sostanze antidepressive. Questa è la logica». Si potrà arrivare allora, un domani, a dare prima un placebo e solo in seguito alla risposta positiva prescrivere il vero farmaco, senza stare a “intossicare” con medicine inutili quelli con risposta negativa? Può essere questa l’utilità finale di una simile ricerca? Sì, questo potrebbe essere un risultato utile», risponde il professor Fagiolini, «ma ce ne sono altri. Per esempio, capire perché alcuni rispondono male al farmaco: arrivare a vedere se è “colpa” del farmaco stesso oppure della mancata attivazione dei meccanismi cerebrali antidolorifici. Lo studio sul placebo aiuterebbe. «Infine», continua Fagiolini, «questo è un primo studio placebo-antidepressivo, ma più avanti si potrebbe riuscire a discriminare in anticipo, antidepressivo per antidepressivo, qual è il più efficace per quella persona».
NON DI SOLO PLACEBO
Resta che il gruppo studiato è molto piccolo: appena 35 persone. «È vero, questo è uno studio ultrapreliminare, ma il numero ristretto è controbilanciato da un segnale molto forte. La percentuale molto alta dei pazienti per i quali esiste una chiara relazione tra risposta al placebo e successiva risposta al farmaco segnala un ruolo importante di meccanismi endogeni nel favorire la risposta al farmaco. Purtroppo non possiamo curare la depressione solo con placebo, perché la percentuale di pazienti che rispondono a placebo rimane comunque più bassa di quella delle persone che rispondono al farmaco e perché spesso la risposta al placebo non è duratura come quella al farmaco. Tuttavia, questo studio ci insegna che l’iniziale risposta al placebo rappresenta un importante indicatore di successiva risposta al farmaco e che il meccanismo che sottende questo fenomeno potrebbe coinvolgere il sistema degli oppioidi e merita di essere studiato a fondo».
Serena Zoli
Giornalista professionista, per 30 anni al Corriere della Sera, autrice del libro “E liberaci dal male oscuro - Che cos’è la depressione e come se ne esce”.