Molti pazienti colpiti da Covid-19 in forma lieve dichiarano un deficit di olfatto e di gusto. Entro un mese la metà recupera del tutto, dieci su cento non migliorano
È uno dei sintomi più diffusi e più persistenti dell’infezione da SARS-CoV-2. La scomparsa del senso del gusto e dell’olfatto riguarda un numero consistente di persone colpite da Covid-19, ma nella gran parte dei casi la situazione ritorna nella normalità o almeno migliora nell’arco di un mese. Lo rileva una ricerca italiana che valutato questo deficit sensoriale in 200 pazienti.
LA RICERCA ITALIANA
L’indagine è stata condotta da un team di ricercatori delle università di Padova e Trieste, dell’AULSS2 di Treviso, del Centro di riferimento oncologico di Aviano e del King’s College di Londra. Hanno esaminato 202 adulti testati con tampone presso l’ospedale di Treviso nel mese di marzo, positivi all’infezione da SARS-CoV-2 e moderatamente sintomatici. Alterazioni del gusto (ageusia o disgeusia), dell’olfatto (anosmia) o di entrambi erano state dichiarate dalla maggioranza delle persone (113). A distanza di 4 settimane dalle prime manifestazioni, l’89% di chi ne era stato colpito ha ricominciato a sentire odori e sapori.
QUANTO DURA LA PERDITA DI OLFATTO E DI GUSTO?
Dai dati dello studio veneto, pubblicati sul Journal of the American Medical Association, entro un mese la metà dei pazienti ha recuperato completamente la sensibilità corretta e il 40% ha visto miglioramenti. Nonostante ciò, anosmia e ageusia sono rimasti i sintomi più riferiti dai pazienti a 4 settimane dalla diagnosi dell’infezione. Inoltre, per una minoranza pari a dieci su cento, le difficoltà sono restate invariate oppure sono peggiorate. Cosa significa?
NON SENTIRE GLI ODORI NON SIGNIFICA ESSERE ANCORA INFETTI
C’è da studiarci su, naturalmente. Ma gli autori (prima firma il professor Paolo Boscolo-Rizzo del Dipartimento di Otorinolaringoiatria dell’Università di Padova) hanno specificato che non c’è un nesso fra il perdurare del deficit sensoriale e la persistenza dell’infezione, ovvero non è detto che chi continua a non sentire gli odori e i sapori sia esposto a una forma più duratura di infezione. C’è invece un nesso fra l’intensità del sintomo e la sua durata: i pazienti vittime delle forme più severe di anosmia hanno avuto meno probabilità di recuperare l’olfatto entro 4 settimane. «Probabilmente per un danno più severo al neuroepitelio olfattivo», il tessuto che custodisce i recettori che ci consentono di sentire profumi e odori.
RICERCATORI A CACCIA DI INDIZI
Questi dati sembrano coerenti con quelli che si stanno raccogliendo in giro per il mondo e che cercano di interpretare questi particolari sintomi del Covid-19. L’interesse è elevato, sia da parte di singoli gruppi di ricerca che di veri e propri consorzi di specialisti. La speranza è capire nuovi aspetti della malattia e delle sue vie di diffusione, ma anche aiutare chi si trova alle prese con un sintomo meno grave di altri ma che impatta pesantemente sulla qualità della vita di tutti i giorni.
COSA SAPPIAMO?
Per il momento si sa che la maggior parte (circa il 60%) delle persone colpite dal virus riferisce di avere avuto perdite di sensibilità. È più frequente nelle donne che negli uomini. Nel mese di marzo 2020, termini come “olfatto”, “gusto”, “coronavirus”, “non sento gli odori” sono balzati in cima alle ricerche di Google. Uno studio condotto presso l’Istituto Clinico Humanitas di Rozzano (Mi) su 200 pazienti affetti da Covid-19 ha contato una riduzione del gusto nel 55 per cento dei soggetti e dell’olfatto nel 42 per cento. Molto più rara (7-8 per cento) l’ostruzione delle vie nasali. Quindi, hanno riassunto gli autori in un articolo di giugno su JAMA, il medico che si trovi di fronte a una riduzione severa di gusto o di olfatto, o di entrambi, con il naso libero può intenderli come campanelli d’allarme per una possibile infezione da SARS-CoV-2, suggerire quindi l’isolamento e procedere a richiedere un tampone per confermare o escludere la diagnosi.
E SE NON PASSA?
I casi in cui l’anosmia e l’ageusia perdurano oltre le 4-5 settimane sono una minoranza, ma esistono e chiedono risposte. Visto il gran numero di persone coinvolte, gli autori dell’articolo su JAMA concludono auspicando che si continui a seguire nel tempo i pazienti e a fare ricerca sul tema. In un commento dalle pagine della stessa rivista, Joshua Levy, otorinolaringoiatra presso la Emory University School of Medicine di Atlanta, sottolinea che mancano trattamenti di comprovata efficacia per queste sindromi post-infettive (che non riguardano solo il Covid-19 ma anche malattie infettive, forme influenzali e da raffreddamento). Unico presidio testato è la riabilitazione olfattoria, un vero e proprio training in cui l’esposizione ripetuta a stimoli odorosi molto intensi può aiutare l’epitelio a recuperare le sue funzioni.
Non fermare la ricerca. Dona ora per i pazienti più fragili.