Tanti ancora gli aspetti da chiarire sulla malattia provocata dal coronavirus. Ma dopo il «lungo inverno», è possibile fare un primo «ritratto» del Covid-19
Oltre a essere stato il primo Paese europeo a essere toccato dal Covid-19, l’Italia è stato anche uno dei più colpiti nel mondo dalla malattia provocata dal nuovo coronavirus (Sars-CoV-2). Cinque mesi dopo il riscontro dei primi casi riguardanti i nostri connazionali, lo scenario è più chiaro rispetto all’avvento della pandemia. Sul piano preventivo (vaccino) e terapeutico (farmaci), le notizie più attese sono di là da venire. Ma grazie al lavoro di medici e scienziati, abbiamo tante informazioni in più su questa malattia. Le abbiamo riassunte in questo abbecedario utile per conoscere meglio le caratteristiche dell'emergenza sanitaria in corso e per garantire qualche elemento di prevenzione in più in caso di una nuova ondata di contagi.
Che cosa sono i Coronavirus?
I coronavirus sono una famiglia di virus che causa infezioni negli esseri umani e in vari animali, tra cui uccelli e mammiferi come cammelli, gatti, pipistrelli. Sono molto diffusi in natura e possono causare malattie che vanno dal comune raffreddore a malattie più gravi come la sindrome respiratoria mediorientale (MERS) e la sindrome respiratoria acuta grave (SARS). Il Sars-CoV-2 sarebbe passato dai pipistrelli all’uomo, non si sa però se utilizzando un altro animale come ospite intermedio.
Come ci si può ammalare di Covid-19?
La malattia si sviluppa nelle persone contagiate dal virus respiratorio Sars CoV-2. La principale modalità di trasmissione è rappresentata dalle goccioline del respiro (droplets) delle persone infette, all’interno delle quali può annidarsi il virus. Una persona può entrare a contatto con il droplet tramite la saliva (attraverso un bacio, un colpo di tosse o uno starnuto ravvicinato) o portando mani contaminate (non ancora lavate) a contatto con la bocca, il naso o gli occhi. Diversi studi hanno rilevato la presenza del virus anche nelle lacrime e nelle feci, ma al momento non risultano casi di contagio avvenuti attraverso queste fonti.
Quali sono i sintomi del Covid-19?
I sintomi più frequenti del Covid-19 sono la tosse, la febbre, il mal di gola, la spossatezza, il naso che cola e la comparsa di difficoltà respiratorie. Molti pazienti hanno però segnalato altre possibili manifestazioni della malattia: la perdita dell’olfatto e del gusto, la congiuntivite, la diarrea. Di fronte a queste manifestazioni, occorre contattare sempre il proprio medico per confermare o escludere la diagnosi di Covid-19.
Come avviene la diagnosi?
L’unico modo per capire se si è contratta l’infezione da coronavirus è sottoporsi al tampone faringeo. Il test, riservato a coloro che presentano i sintomi citati, consiste nel prelievo delle mucose del naso e della faringe. Il campione, una volta sigillato, viene inviato in un laboratorio di microbiologia, per essere sottoposto a una procedura (PCR) che permette di amplificare il virus e individuare così i casi positivi.
Come ci si può proteggere dal contagio?
Il frequente lavaggio e la disinfezione delle mani sono decisivi per prevenire l’infezione. Per essere certi di aver eventualmente eliminato il coronavirus dalle superfici delle mani, occorre lavarle con acqua e sapone per almeno venti secondi. Se si è fuori di casa e non si ha modo di lavarle frequentemente (passaggio fondamentale anche dopo il contatto con oggetti e superfici potenzialmente contaminati), è possibile utilizzare un disinfettante per mani a base di alcol al 60 per cento. Fondamentale è anche evitare il contatto ravvicinato (1-2 metri, a seconda che si sia all’aperto o al chiuso) con persone non conviventi. Per la stessa ragione, meglio evitare gli abbracci, le strette di mano e l’uso promiscuo di bottiglie e bicchieri.
Si può contrarre l’infezione da una persona apparentemente sana?
Anche se i dati scientifici dimostrano che il virus viene trasmesso in prevalenza da persone con sintomi e che la diffusione è più elevata entro i primi tre giorni dal loro esordio, le persone infette possono essere contagiose già nelle 24-48 ore che seguono l’infezione e in cui i sintomi specifici non si sono ancora manifestati. Ovvero: nel periodo di incubazione, stimato tra 2 e 14 giorni (con un picco tra i giorni 5 e 7). Pertanto è possibile che le persone colpite da Covid-19 possano trasmettere il virus anche nella fase pre-sintomatica. A ciò occorre aggiungere che vi sono casi di persone rimaste sempre asintomatiche, che hanno scoperto di avere avuto la malattia soltanto dopo aver effettuato un test sierologico.
A cosa servono i test sierologici?
A differenza del tampone, esame di laboratorio che serve per individuare la presenza del coronavirus all'interno delle mucose respiratorie, i test sierologici servono ad individuare tutte quelle persone che sono entrate in contatto con il virus. Dunque, mentre il primo fornisce un'istantanea sull'infezione, i secondi «raccontano» la storia della malattia. Attraverso i test sierologici è possibile individuare gli anticorpi prodotti dal nostro sistema immunitario in risposta al virus. Un test positivo necessita di essere sempre seguito dal tampone nasofaringeo, per valutare se l'infezione è ancora in atto o se gli anticorpi rilevati siano soltanto il «segnale» del passaggio del virus dal nostro corpo.
Si può dire che il Sars-CoV-2 si sia indebolito rispetto a quello circolante tra febbraio e aprile?
Il Sars-Cov2, come tutti i coronavirus, dal punto di vista biologico si caratterizza per cambiare molto poco nel tempo. Questa caratteristica è dovuta a un enzima particolare che si chiama «correttore di bozze», che controlla la variabilità durante la replicazione del virus. Questo enzima differenzia i coronavirus dagli altri virus a Rna, come per esempio l'HIV e l'HCV, che mostrano invece un’alta variabilità. In altri termini, possiamo affermare che tutti i virus evolvono, così come ogni essere vivente. Ma i tempi di evoluzione di un coronavirus sono molto più lenti degli altri. Ragion per cui è molto difficile pensare che il Coronavirus possa modificare la sua capacità replicativa o la sua virulenza nell’arco di pochi mesi. L’idea che Sars-CoV-2 oggi faccia meno vittime in quanto più «debole» non è sostenuta da evidenze scientifiche. Molto più probabile invece che la malattia abbia perso aggressività in virtù della ridotta circolazione virale determinata dal lockdown e dalla conseguente capacità di intervenire in tempi rapidi su un numero inferiore di pazienti.
Una volta fatti i conti col Covid-19, si può essere certi di non ammalarsi più in futuro?
Questa domanda è ancora priva di una risposta. Da studi internazionali si sa che i guariti sviluppano anticorpi neutralizzanti, che poi sono presenti nel sangue dei convalescenti usato a scopo terapeutico. Quello che ancora non si conosce è per quanto tempo duri l'efficacia di questi anticorpi. C'è anche un altro aspetto da considerare: per quello che è stato osservato finora, non tutte le persone che si infettano sviluppano lo stesso quantitativo di anticorpi neutralizzanti. Per questa ragione è ancora troppo presto per dire che tipo di immunità conferisca l'infezione da Sars-Cov-2. Inoltre non si sa ancora se il virus possa mutare, come accade a quello dell’influenza. In tal caso, l’immunità acquisita verrebbe persa di volta in volta (con ogni mutazione). La durata dell’immunità potrebbe inoltre dipendere dal tipo di infezione avuta (asintomatica, lieve, severa).
Perché di Covid-19 si può anche morire?
La maggior parte dei casi confermati - soprattutto i bambini e i giovani adulti - sembra avere una malattia lieve e con un decorso lento. Circa il 20 per cento dei contagi progredisce invece verso una forma più grave: caratterizzata da una polmonite bilaterale, che può generare un’insufficienza respiratoria grave, se non anche quella di altri organi (a partire dai reni). I pazienti deceduti con il Covid-19 avevano queste caratteristiche cliniche ed erano perlopiù anziani (oltre il 96 per cento erano over 60) e uomini (60 per cento).
Come si cura il Covid-19?
Al momento, non c’è una terapia specifica per il Covid-19. I medici, in questi mesi, hanno fatto ricorso a farmaci sintomatici per i casi più lievi. Mentre nei pazienti più gravi sono stati utilizzati farmaci disponibili per altre condizioni. Nello specifico: antivirali, antimalarici, immunosoppressori, anticorpi specifici (plasmaterapia) e anticoagulanti. Molti di questi trattamenti sono stati inseriti in protocolli sperimentali, i cui risultati saranno resi noti nei prossimi mesi.
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Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).