Grazie ai Nobel per la medicina è stato aggiunto un tassello che un giorno potrà forse servire per combattere le malattie neurodegenerative
Il premio Nobel 2014 per la medicina è stato assegnato a tre neuroscienziati, John O'Keefe, May-Britt ed Edvard Moser, che hanno scoperto e descritto il sistema con cui il cervello trova le coordinate nello spazio. Le protagoniste di questi affascinanti studi sono le cellule “griglia”, coinvolte nell’immagazzinamento e nel reperimento delle memorie spaziali. Un’ipotesi è che possano codificare per la memoria episodica e permettere al soggetto non solo di sapere dove si trova adesso, ma anche dove è appena stato e dove sta per andare.
A Fabrizio Tagliavini, direttore del Dipartimento malattie neurodegenerative dell’Istituto neurologico Carlo Besta di Milano, chiediamo un commento su questo riconoscimento.
>«E’ un Nobel meritato, che ci aiuta a capire meglio come è organizzato e come funziona il cervello. Sono state premiate tre persone che nel corso di 40 anni hanno identificato e mappato un sistema complesso che stabilisce la localizzazione di un individuo nello spazio e ne orienta la navigazione corretta. Da queste strutture dipende la consapevolezza dello spazio, di dove ci si trova e dove bisogna andare per raggiungere un diverso luogo. Anche utilizzando la memoria spaziale.
Funziona come un GPS, se sono in una città che non conosco mi dice dove sono e che strada posso fare per raggiungere un luogo. E’ un sistema fondamentale: se ogni mattina ci alziamo, andiamo al lavoro e non perdiamo la strada anche se cambiamo strada o facciamo una tappa inattesa, è perchè abbiamo un sistema settato per dare informazioni di questo tipo. Dove si trova questo sistema GPS, come è organizzato e come funziona sono appunto le nuove conoscenze che sono state premiate con il Nobel.
E’ la tessera di un mosaico molto complesso, ma una tessera messa bene a fuoco. Tutte le altre a poco a poco ci daranno un giorno un’idea precisa di come funziona il cervello, che è la premessa fondamentale per la prevenzione e la cura delle malattie neurologiche».
Sarà utile anche per arrivare a comprendere e curare l’Alzheimer?
«C’è un certo legame fra scoperte di questo tipo e la malattia, per il fatto che il sistema è localizzato nella corteccia entorinale e nell’ippocampo, due fra le prime strutture a degenerare con l’Alzheimer e dove hanno sede le funzioni della memoria dei fatti recenti (ippocampo) e dell’orientamento (corteccia entorinale). Non a caso, fra i primi sintomi dell’Alzheimer ci sono proprio le perdite di memoria e il disorientamento. Le cause dell’Alzheimer restano ancora solo in parte note, ma nel momento in cui le conoscenze sui sistemi cerebrali colpiti fossero tali da permettere una qualche terapia, potremmo almeno proteggere le funzioni neurologiche. Possiamo pensare al cervello come a un sistema di network molto diversi ma con regole comuni. Se io riesco a capire nei dettagli come funziona un certo sistema, è un passo avanti anche per gli altri. Ecco perchè O’Keefe e i Moser hanno dato un contributo molto importante per tutte le neuroscienze, tanto sul piano dell’anatomia e della fisiologia, quanto su quello delle scienze cognitive».
Donatella Barus
Giornalista professionista, dirige dal 2014 il Magazine della Fondazione Umberto Veronesi. E’ laureata in Scienze della Comunicazione, ha un Master in comunicazione. Dal 2003 al 2010 ha lavorato alla realizzazione e redazione di Sportello cancro (Corriere della Sera e Fondazione Veronesi). Ha scritto insieme a Roberto Boffi il manuale “Spegnila!” (BUR Rizzoli), dedicato a chi vuole smettere di fumare.