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Neuroscienze
Edoardo Stucchi
pubblicato il 09-03-2015

Alzheimer: svelate le origini della neurodegenerazione



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Uno studio realizzato da ricercatori di Roma e Brescia rivela dove comincia l’accumulo di peptidi responsabili della malattia

Alzheimer: svelate le origini della neurodegenerazione

La strada per la cura dell’Alzheimer si apre verso nuovi orizzonti grazie a uno studio che ha rivelato l’origine del deterioramento della memoria a causa dell’accumulo di un piccolo frammento di una proteina, il peptide Abeta, responsabile della malattia. Tutto parte da una considerazione: il patrimonio proteico di ogni individuo si modifica nel tempo ed alcune di queste modificazioni determinano l’invecchiamento e l’insorgere di malattie.

 

L’ORIGINE

La Malattia di Alzheimer è la forma più comune di demenza (54% di tutte le demenze neurodegenerative) ed è caratterizzata dall’accumulo di un piccolo frammento di proteina (il peptide Abeta) a livello cerebrale. L’accumulo di abeta nel cervello precede sempre le altre manifestazioni patologiche,  rappresentando dunque una sorta di “scintilla” che scatena poi una serie di eventi che terminano nella perdita di memoria.

Ma da dove inizia esattamente questo accumulo? Quali sono le forme aggregate tossiche che scatenano la neurodegenerazione? Questi i punti affrontati nello studio coordinato dal professor  Antonino Cattaneo dell’Istituto Europeo per la Ricerca sul Cervello (Ebri, Roma) in collaborazione con i ricercatori dell’IRCCS Fatebenetratelli Brescia (Roberta Ghidoni, Luisa Benussi, Valentina Albertini).

I risultati sono stati pubblicati su Nature Communications. Secondo la dottoressa Roberta Ghidoni, vice direttore scientifico dell’IRCCS Fatebenefratelli, «la nostra ricerca ha consentito di individuare il sito all’interno della cellula, dove cominciano a formarsi gli aggregati tossici (detti oligomeri) del peptide abeta che danno inizio alla patologia. Gli oligomeri di beta amiloide sono specie molecolari tossiche coinvolte in maniera cruciale negli eventi precoci della malattia di Alzheimer. Prima di questo studio non si conosceva molto sulla loro formazione intracellulare a causa della mancanza di metodi selettivi  per il loro riconoscimento a livello molecolare».

 

NUOVO APPROCCIO DI CURA

«Nello studio abbiamo indirizzato, in modelli cellulari di malattia, sonde molecolari in grado di colpire le formazioni tossiche proprio nel luogo ove queste iniziano a formarsi (reticolo endoplasmico) e prima che vengano trasportate fuori dalla cellula: è  stato pertanto applicato in modo efficace l’approccio degli anticorpi intracellulari ideato negli anni ’90 da Antonino Cattaneo. Lo studio ha la doppia valenza di aver stabilito gli oligomeri intracellulari di abeta come target nel trattamento dell'Alzheimer e consente di prospettare una strategia sperimentale con un forte potere  terapeutico. Sarà necessario quindi ripensare agli approcci terapeutici considerando non solo la composizione di tali aggregati  ma anche il luogo in cui si originano. Il “luogo” non è un aspetto secondario in quanto, per avere un effetto, farmaco e bersaglio devono potersi incontrare. La sfida ora è sfruttare questa nuova conoscenza per la messa a punto di nuove terapie».


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