Lecanemab e donanemab si sono dimostrati utili nel rallentare il declino cognitivo. Fondamentale la diagnosi precoce. Presente e futuro del trattamento dell'Alzheimer
Parlare di cura per l'Alzheimer è azzardato. Rallentare però il declino cognitivo di chi ne è affetto non sembra più un miraggio. Dopo anni di sostanziali fallimenti oggi finalmente qualcosa cominica a muoversi grazie all'utilizzo degli anticorpi monoclonali. Grazie a questi farmaci infatti, soprattutto se somministrati in fase precoce, è possibile frenare in maniera importante il decorso della malattia. A testimonianza dell'inizio di una nuova era nel trattamento dell'Alzheimer c'è la recente approvazione di lecanemab da parte dell'FDA e i risultati positivi dello studio di fase III con donanemab presentati all'Alzheimer’s Association International Conference. Non certo cure definitive -da valutare attentamente anche i possibili effetti collaterali anche gravi- ma un deciso cambio di passo nell'affrontare la malattia.
CHE COS'È L'ALZHEIMER?
Nel mondo, secondo i dati dell’organizzazione mondiale della Sanità, sono oltre 55 milioni le persone che convivono con l’Alzheimer, una delle principali cause di disabilità e non autosufficienza tra le persone anziane. Si tratta di una malattia neurodegenerativa che porta alla progressiva perdita delle cellule nervose e delle loro connessioni. Come avviene per gli altri organi quando sono danneggiati, le lesioni dell’Alzheimer causano una perdita di funzione cerebrale sino alla demenza. Da un punto di vista fisiopatologico la malattia di Alzheimer, essenzialmente, è causata dalla formazione e dalla presenza di ammassi di proteina beta-amiloide che danneggia i neuroni.
IL FALLIMENTO DELLE SPERIMENTAZIONI
Chiarito questo aspetto, negli anni l'obbiettivo principale della ricerca è stato quello di creare farmaci in formulazione di anticorpo capaci di intercettare e neutralizzare la proteina anomala che si accumula. Una strategia che nei primi tempi è risultata fallimentare. Il motivo? Sino a pochi anni fa la diagnosi di malattia di Alzheimer era ancora incerta, per lo più basata su una visita dal neurologo. Anche nel migliore dei casi, lo specialista si esprimeva fornendo una diagnosi di Alzheimer probabile: la risposta definitiva sarebbe venuta da un (eventuale) esame del cervello dopo la morte attraverso un’autopsia. Oggi lo scenario è cambiato radicalmente perché finalmente abbiamo a disposizione dei biomarcatori la cui presenza è associata alla malattia. Per questa ragione, ovvero l'assenza di biomarcatori, moltissime persone coinvolte nei primi studi clinici hanno ricevuto un farmaco contro una patologia che in realtà avevano.
UNA NUOVA ERA GRAZIE AI BIOMARCATORI
Fortunatamente negli anni a venire sono stati sviluppati biomarcatori in grado di segnalare la presenza della malattia. Non solo, i primi anticorpi sono stati migliorati arrivando alla produzione e sperimentazione di anticorpi di seconda generazione. Queste due caratteristiche hanno portato a sviluppare migliori studi clinici che finalmente hanno incominciato a portare i risultati sperati. Ad inizio luglio l'FDA americana, basandosi sui risultati dello studio clinico di fase III Clarity, ha approvato l'utilizzo dell'anticorpo lecanemab nel trattamento dell'Alzheimer. In particolare dalle analisi dello studio è emerso che nei pazienti con lieve declino cognitivo e con presenza di placche beta-amiloidi confermata, il trattamento con l'anticorpo ha portato ad una riduzione della progressione della malattia.
RALLENTARE IL DECLINO COGNITIVO CON GLI ANTICORPI
Ora, all'Alzheimer’s Association International Conference, sono stati presentati ulteriori dati incoraggianti dello studio TRAILBLAZER-ALZ 2 su donanemab, altro anticorpo diretto contro una porzione delle placche amiloidi. Dalle analisi, pubblicate contemporaneamente su JAMA Neurology, è merso che donanemab ha rallentato in modo significativo il declino cognitivo e funzionale nei pazienti con malattia di Alzheimer sintomatica precoce positiva per l'amiloide, riducendo il rischio di progressione. Quasi la metà dei partecipanti trattati con donanemab nello stadio iniziale della malattia non hanno mostrato progressione clinica a 1 anno. Infine ulteriori analisi di sottopopolazione hanno dimostrato che i partecipanti allo studio con malattia in fase più precoce hanno avuto un beneficio ancora maggiore, con un rallentamento del declino del 60% rispetto al placebo. Risultati importanti che verranno valutati da FDA nei prossimi mesi per un eventuale via libera all'utilizzo del farmaco.
I LIMITI DELLA RICERCA E I PASSI FUTURI
I risultati ottenuti fanno dunque ben sperare. Attenzione però a pensare di essere di fronte alla soluzione per la malattia di Alzheimer. Quanto ottenuto di positivo è stato possibile somministrando gli anticorpi nelle fasi precoci della malattia. Ecco perché la diagnosi precoce di malattia oggi è più che mai fondamentale. L'avvento di nuovi biomarcatori sicuramente agevolerà questo processo. Non dobbiamo però dimenticare che il trattamento con questo tipo di farmaci presenta ancora delle criticità sul piano degli effetti collaterali. Ecco perché sono in faso di studio numerosi altri anticorpi monoclonali. La soluzione al problema Alzheimer non c'è ancora ma dopo anni di nulla finalmente la strada imboccata sembra essere quella giusta.
Fonti
Daniele Banfi
Giornalista professionista del Magazine di Fondazione Umberto Veronesi dal 2011. Laureato in Biologia presso l'Università Bicocca di Milano - con specializzazione in Genetica conseguita presso l'Università Diderot di Parigi - ha un master in Comunicazione della Scienza ottenuto presso l'Università La Sapienza di Roma. In questi anni ha seguito i principali congressi mondiali di medicina (ASCO, ESMO, EASL, AASLD, CROI, ESC, ADA, EASD, EHA). Tra le tante tematiche approfondite ha raccontato l’avvento dell’immunoterapia quale nuova modalità per la cura del cancro, la nascita dei nuovi antivirali contro il virus dell’epatite C, la rivoluzione dei trattamenti per l’ictus tramite la chirurgia endovascolare e la nascita delle nuove terapie a lunga durata d’azione per HIV. Dal 2020 ha inoltre contribuito al racconto della pandemia Covid-19 approfondendo in particolare l'iter che ha portato allo sviluppo dei vaccini a mRNA. Collabora con diverse testate nazionali.