Il pregiudizio basato sull’età - si chiama ageismo - esiste anche in medicina e nella ricerca scientifica
Un altro –ismo va ad aggiungersi ai tanti –ismi sulle malefatte della società che discrimina fasce di persone, stravolge identità o respinge minoranze, e in questo caso parliamo di “ageismo”. Dal francese agé, anziano, dunque una “punizione” sociale delle persone in età.
Il recente congresso della Aip, Associazione italiana di psicogeriatria, a Firenze vi ha dedicato un simposio dal titolo Proteggere gli anziani dalle discriminazioni in sanità: una sfida possibile?. Anche se il termine ageismo non è così noto, notorio è invece l’atteggiamento diffuso di presa di distanza, pregiudizio e scarsa considerazione che isola dopo una certa età uomini e donne in una terra a sé, di quasi minorati o bambini di ritorno (“rimbambito” si dice infatti dell’anziano).
AGEISMO ISTITUZIONALIZZATO?
Ma, tornando al Congresso di Firenze, c’è un salto in più: altro è deprecare un sentire comune, altro è parlare di “discriminazioni in sanità”. Al proposito già l’anno scorso l’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms) ha reso pubblico un Rapporto globale sull’ageismo. «Si tratta di una discriminazione basata sull’età, dopo un certo numero di anni è implicito che non si è più abili – spiega il professore Diego De Leo, presidente eletto dell’Aip, che entrerà in carica l’anno prossimo. – C’è un ageismo istituzionalizzato: si manda in pensione in base all’età e non a capacità diminuite. O al contrario non si assume una persona brava e capace perché troppo anziana».
LA DISISTIMA DISTRUGGE L’AUTOSTIMA
La disistima per i vecchi – un tempo ritenuti depositi di saggezza – è talmente scolpita in tutti noi, continua il professore, che si è portati a parlargli ad alta voce (non è detto che siano sordi) o con parole molto facili, scandite. «Così li si infantilizza». Di conseguenza anche loro si autosvalutano, non si sentono capaci di intraprendere un hobby, studiare, muoversi. «Tutto questo fa male, rende la vita più difficile e anche più breve. Ed isola le persone, sospinte alla larga dal circolo della vita. Così ecco – conclude il professor De Leo - la grande epidemia sociale della solitudine, tanto diffusa tra gli anziani», I quali, di conseguenza, si ammalano di più e diventano un peso per la sanità. Che li respinge? «Beh, sono innumerevoli i tentativi di non garantire una piena assistenza sanitaria agli anziani, di risparmiare sulle cure. Sono persone non più produttive…sta qui il pregiudizio di fondo», risponde Diego De Leo.
LA GERIATRIA SPECIALITA’ RECENTE
Anche la geriatria, una medicina dedicata all’età avanzata, non esiste da molto e stando ai suoi esponenti non è che si trovino molto facilitati nel loro lavoro e nel fare accettare gli esiti specifici delle loro ricerche. A volte pare più utile una cattedra in medicina interna anziché in geriatria e gerontologia. Si è detto a Firenze che si escludono i grandi anziani dai trial clinici. «Succede perché queste sono persone troppo particolari, troppo “inquinate”, diciamo, dalla loro fragilità per cui occorrerebbero sperimentazioni più sofisticate, maggiori controlli. Certo, sono indagini più sottili e complesse di altre, perciò vengono tralasciate, ma ce ne sarebbe un gran bisogno». Anche considerando che gli anziani sono una parte importante della popolazione e sono i primi utilizzatori di farmaci e terapie.
L’ASCOLTO, MEDICINA FONDAMENTALE
La discriminazione a volte viaggia dietro lo schermo della “fragilità”, appunto. «Sì, ma la fragilità non deve essere un contenitore vuoto; facile scambiarla per depressione, con cui ha tratti in comune. La tendenza a tenersene alla larga in campo medico è perché è sinonimo di complessità, di difficoltà, non tutti si sentono di farsene carico. Eppure l’accesso alle cure dovrebbe essere tarato sulle singole persone». Molto importante il punto con cui il professor De Leo termina il colloquio: «L’ascolto! Ecco che cosa è fondamentale e che manca nella medicina moderna. Specie per gli anziani, che già arrivano convinti che non saranno ascoltati, l’ascolto è fondamentale. Ma bisogna anche riuscire a farglielo capire che li si sta ascoltando per davvero».
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Serena Zoli
Giornalista professionista, per 30 anni al Corriere della Sera, autrice del libro “E liberaci dal male oscuro - Che cos’è la depressione e come se ne esce”.