Con la brachiterapia alcuni effetti collaterali sono ridotti. La scelta dell'approccio radioterapico dipende dall'aggressività del tumore della prostata
La brachiterapia è stata ideata per ridurre al minimo l’esposizione alle radiazioni dei tessuti che circondano la prostata e in tal modo ridurre l’impatto degli effetti collaterali.
I maggiori benefici riguardano gli effetti collaterali a carico dell’intestino, che sono molto meno frequenti rispetto a quelli indotti dalla radioterapia a fasci esterni. Al contrario, il rischio di problemi urinari è sovrapponibile tra le due tecniche, e in alcuni casi può essere più frequente nei pazienti che si sottopongono a brachiterapia, tanto che di solito, dopo il posizionamento dei semi, è necessario inserire un catetere.
La brachiterapia, inoltre, comporta rischi minimi connessi all’intervento per il posizionamento dei semi: in genere si tratta di una lieve sensazione di dolore e della presenza di sangue nelle urine. Sintomi che tendono a essere di lieve entità e scomparire in pochi giorni. In rari casi, però, la sintomatologia può essere più severa e richiedere l’intervento del medico.
La brachiterapia è impiegata quasi esclusivamente in pazienti con un tumore della prostata a basso rischio. Vale a dire nei casi in cui non si registri un eccessivo ingrossamento della ghiandola, quando il tumore è agli stadi iniziali e non presenta caratteristiche di aggressività, quando il valore dell'antigene prostatico specifico (PSA) non è eccessivamente elevato. In alcuni casi, però, la brachiterapia può essere impiegata insieme ad altri trattamenti anche per tumori con peggiori profili di rischio e in stadio più avanzato.
In questi casi, si usa in genere insieme alla radioterapia a fasci esterni per aumentare la dose di radiazione erogata sul tumore e in tal modo aumentare le probabilità di successo della terapia.