E’ possibile tuttavia che, una volta terminata la fase della diagnosi e delle terapie, il paziente si trovi a sperimentare una riduzione delle sue abituali risorse psicofisiche necessarie per fare fronte alla ripresa della quotidianità
Mio padre, 70enne, otto mesi fa è stato operato di cancro alla prostata e l’intervento è andato bene. Ora prosegue con cure e controlli e la sua vita è tornata più o meno «normale», con gli stessi impegni che aveva prima. Lui però si lamenta spesso: dorme male, si sente stanco e privo di energie, ha poco appetito e poca voglia di uscire. E’ una conseguenza normale delle terapie e dello «shock» che ha subito o dobbiamo preoccuparci che stia cadendo in depressione? Passerà? Possiamo fare qualcosa?
Linda, Venezia
Risponde Claudia Borreani, responsabile della struttura complessa di psicologia alla Fondazione IRCCS Istituto Nazionale Tumori di Milano
La sovrapposizione di questi sintomi con gli effetti collaterali di alcune terapie oncologiche ha spesso portato i medici ad attribuire loro uno scarsa importanza psicodiagnostica. E’ possibile tuttavia che, una volta terminata la fase della diagnosi e delle terapie, il paziente si trovi a sperimentare una riduzione delle sue abituali risorse psicofisiche necessarie per fare fronte alla ripresa della quotidianità. Vissuti ed emozioni non sufficientemente elaborati possono contribuire a determinare una condizione di sofferenza che, non raggiungendo lo stato di coscienza, si esprime attraverso il corpo, con sintomi somatici appunto come quelli riportati da suo padre.Non bisogna sottovalutare sintomi fisici quali stanchezza, disturbi del sonno o mancanza di appetito che si presentano nelle persone che hanno vissuto un’esperienza di malattia oncologica. Questi problemi potrebbero essere infatti indicatori di un disturbo depressivo che altrimenti potrebbe non venire riconosciuto. E’ quanto suggeriscono i risultati di un recente studio pubblicato su una importante rivista scientifica.
E’ importante in questo caso affrontare questi vissuti, riconoscendo ed esprimendo le emozioni e le eventuali preoccupazioni connesse al proprio stato di salute: quindi è bene che papà ne parli, con voi e con il medico che lo segue, per cercare di capire l’origine dei vari disturbi e trovare una soluzione. Una comunicazione schietta ed efficace fra i familiari (e con l’oncologo) migliora la gestione di una situazione già di per sé complessa per tutti. Esprimere le proprie emozioni, condividere i sentimenti scatenati dalla malattia, è un consiglio sempre valido. Molti malati oncologici raccontano di avere difficoltà a compiere le normali attività quotidiane, a concentrarsi e a prestare attenzione, a parlare o a ricordare le cose. Inoltre lamentano di non avere la forza di fare nulla, si sentono completamente svuotati di ogni energia, spesso soffrono di disturbi del sonno, mancanza d’appetito e di una certa fragilità dell’umore.
Occorre però ricordare che il processo di guarigione psicologica da una malattia è talvolta più lungo di quello più strettamente fisico e può richiede una attenzione specifica. La presenza vicino al malato di famigliari attenti, come nel suo caso, può rivelarsi una risorsa importante per cogliere questi segnali di disagio evitando un ulteriore sottovalutazione di problemi emotivi sottostanti. Se i disturbi persistono per più di sei mesi dalla fine delle cure è bene parlarne con uno specialista come lo psiconcologo che possa aiutarvi a trovare la soluzione più adeguata per il singolo caso.