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I nostri ricercatori
Agnese Collino
pubblicato il 18-12-2017

Una nuova arma contro le metastasi del tumore al seno



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Un enzima chiamato Sirt6 sembra essere implicato nella formazione e nella diffusione di metastasi. Irene Caffa sta verificando l’efficacia di un farmaco che ne blocca l’attività

Una nuova arma contro le metastasi del tumore al seno

In Italia il tumore al seno è ancora del tumore più diffuso nella popolazione femminile. Ma la ricerca ha fatto grandi passi avanti: oggi il tasso medio di guarigione a cinque anni dalla diagnosi è pari all’87 per cento. Un risultato importante, che però può e deve essere superato. Sono necessari nuovi farmaci per trattare le pazienti che ancora non traggono benefici dalle cure attuali, e soprattutto per prevenire la formazione di metastasi o arrestarne la diffusione. Il progetto Pink is Good della Fondazione Umberto Veronesi è nato proprio per sostenere i ricercatori più meritevoli tra quelli che studiano i tumori del seno e altri tumori femminili, e fra i ricercatori sostenuti nel 2017 c’è Irene Caffa, in forza al dipartimento di medicina interna dell’Università di Genova. Irene si occupa di un enzima chiamato Sirt6, coinvolto in meccanismi cellulari cruciali: è stato infatti osservato che alti livelli di Sirt6 sono associati a una prognosi sfavorevole nel cancro al seno, e in particolare che possano essere legati ad una maggiore propensione all’insorgenza di metastasi. Ecco perché Irene vuole verificare se bloccare SIRT6 può costituire una nuova strategia per prevenire la metastatizzazione di questo tumore.

 

Irene, dicci di più sul tuo progetto di ricerca.

«Da anni il laboratorio di cui faccio parte è impegnato nel capire come mai l’aumento nei livelli di Sirt6 sia correlato ad  una peggiore prognosi per chi è affetto da tumore al seno, e abbiamo recentemente osservato che l’aumento di Sirt6 in queste cellule attiva la produzione di MMP9 (una molecola che promuove l'invasività del cancro) e provoca la cosiddetta transizione epitelio-mesenchimale, uno dei processi biologici iniziali che portano alla metastatizzazione. In questo mio progetto mi sono voluta focalizzare sugli effetti pro-tumorali esercitati da Sirt6 sul seno, e in particolare voglio definire qual è l’effetto di specifici farmaci in grado di inibire Sirt6, recentemente identificati in modelli di tumore mammario in vitro e in vivo. L’obiettivo è quello di fornire nuovi strumenti per la prevenzione e per il trattamento delle metastasi. Se raggiungeremo i risultati sperati, questi inibitori di Sirt6 potrebbero rivelarsi nuove importanti armi per le pazienti affette da questa malattia».

 

Ricordi il momento in cui hai capito che la tua strada era quella della scienza?

«Mia mamma racconta che fin da piccola avevo in testa l’idea di fare la scienziata: la sorella maggiore di una mia amica stava studiando biologia e io ne ero molto colpita. Ma credo di poter dire che la vera consapevolezza di aver fatto la scelta giusta sia arrivata quando ho iniziato a lavorare al bancone. La ricerca in campo oncologico soddisfa la mia necessità di fare qualcosa per gli altri, di cercare di migliorare le cose. Amo questo lavoro nonostante la sua precarietà, e credo che per me stessa non avrei potuto fare scelta migliore».

 

E ti vedi così anche fra dieci anni?

«Purtroppo, appunto, è difficile per un ricercatore precario guardare così avanti. Spero che tra dieci anni le cose siano in fase di cambiamento e che il valore della ricerca e dei ricercatori sia finalmente riconosciuto. A volte l’amore per questo lavoro non basta: servono più fondi e sicurezze per poterci dedicare serenamente alla ricerca senza la spada di Damocle del contratto in scadenza che pende su di noi».


La cosa che più ti fa arrabbiare.

«Il nepotismo».


Cosa invece ti piace di più del tuo lavoro?

«Fare ricerca è decisamente stimolante, pone sempre nuove sfide e ti stimola a dare il meglio. Chi fa il ricercatore sa quanto può essere stressante, a volte addirittura frustrante questo lavoro. Ma la gratificazione nell’ottenere risultati che potrebbero aiutare i malati riesce a farmi sentire veramente appagata e darmi l’energia per continuare a studiare e impegnarmi. Mi dispiace solo che molte persone arrivino a comprendere quanto è importante la ricerca solo quando si trovano a dover affrontare una malattia nel loro ambito familiare».


Cosa ne pensi dei complottisti o di chi si professa contrario alla scienza per motivi ideologici?

«Credo che alla base di molte convinzioni ci sia una mancanza di buona informazione e una malriposta fiducia in notizie che si rivelano infondate. Ultimamente mi capita sempre più spesso di parlare con persone che mi fanno domande “perché sui social ho letto che...”, e trovo preoccupante che si sia spinti a credere più a queste fonti che al medico. Ecco perché credo che la divulgazione sia fondamentale per cercare di dipanare la nebbia che aleggia nel dibattito pubblico intorno a temi importanti come i vaccini o la ricerca in vivo».

 

Hai qualche hobby o passione al di fuori dell’ambito scientifico?

«Amo molto viaggiare, e mi dedico alla pasticceria».

 

C’è qualcosa che vorresti assolutamente fare o vedere almeno una volta nella vita?

«Una cosa sola? Come faccio a scegliere? Da anni compilo la mia “lista”, piena zeppa di posti da visitare o esperienze da fare: spazia dal vedere l’aurora boreale al partecipare al festival delle lanterne in Thailandia. Spero di riuscire a spuntare tutte le voci dell’elenco…».

 

Hai famiglia?

«Sono sposata da pochi mesi».

 

Sei soddisfatta della tua vita?

«Molto. Spero di non perdere mai la gioia e l’entusiasmo che ho, non solo verso il lavoro, ma anche nei confronti della famiglia e degli amici che mi sono vicini».

 

C’è un ricordo a te caro di quando eri piccola?

«Papà e mamma che ascoltano le poesie e le lezioni imparate a scuola. Abitudine che si è protratta dall’asilo fino all’università, con i miei genitori che hanno sempre mostrato lo stesso entusiasmo e voglia di supportarmi da quando recitavo “Le tre civette sul comò” a quando ripassavo per gli esami di “Biologia Molecolare II” o “Organismi transgenici”».

 

Quale personaggio famoso ti piacerebbe conoscere un giorno?

«Parte del mio interesse per la scienza è nato da bambina, quando le serate con SuperQuark erano sacre. Quindi mi piacerebbe incontrare Piero e Alberto Angela: credo che il loro impegno nella divulgazione sia veramente encomiabile, soprattutto al giorno d’oggi». 

 

Agnese Collino
Agnese Collino

Biologa molecolare. Nata a Udine nel 1984. Laureata in Biologia Molecolare e Cellulare all'Università di Bologna, PhD in Oncologia Molecolare alla Scuola Europea di Medicina Molecolare (SEMM) di Milano, Master in Giornalismo e Comunicazione Istituzionale della Scienza all'Università di Ferrara. Ha lavorato nove anni nella ricerca sul cancro e dal 2013 si occupa di divulgazione scientifica


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