La proteina CXCR4 svolge un ruolo determinante nella formazione delle metastasi polmonari. Giulia Bertolini è alla ricerca di un farmaco che ne blocchi l’attività
Il tumore del polmone è la prima causa di morte per neoplasia nel mondo e rappresenta solo in Italia il venti per cento di tutte le morti per tumore. Con un picco di incidenza tra i 50 e i 60 anni, il suo principale fattore di rischio è il fumo di sigaretta, seguito a distanza dall’esposizione ad agenti tossici di origine industriale e dall’inquinamento atmosferico. Sebbene spesso sia asintomatico, talvolta il tumore si manifesta con segnali come tosse, raucedine, dolore al petto, perdita di peso e stanchezza. L’approccio terapeutico varia a seconda delle condizioni del paziente e va dalla chirurgia alla chemioterapia e radioterapia: trattamenti che non sempre riescono ad arginare l’aggressività del tumore, che può in alcuni casi metastatizzare invadendo i tessuti circostanti.
Proprio questo processo, da cui in genere dipende la vita del paziente, è l’oggetto delle ricerche della biotecnologa Giulia Bertolini, che cerca una strada per inibire la migrazione delle cellule tumorali nel cancro al polmone. Il suo bersaglio è CXCR4, proteina che svolge un ruolo cruciale nella formazione delle metastasi polmonari. Grazie alla borsa offerta dalla Fondazione Umberto Veronesi, la ricercatrice piacentina può portare avanti il suo lavoro presso l’Istituto Nazionale dei Tumori a Milano.
Giulia, ci descrivi meglio in cosa consiste il tuo lavoro?
«Gli alti livelli di mortalità del tumore polmonare sono spesso legati allo sviluppo di metastasi, processo che la chemioterapia non sempre è in grado di contrastare. In studi precedenti abbiamo dimostrato che il trattamento chemioterapico per il tumore al polmone, pur riuscendo a ridurrela massa tumorale, fa sì che sopravvivano, e quindi in un certo senso vengano selezionate, eventuali cellule resistenti alla chemio e ad alto potenziale metastatico definite MICs (Metastasis Initiating Cells). Queste cellule producono la proteina CXCR4, che favorisce la migrazione delle cellule tumorali e dunque la formazione di metastasi (non a caso viene impiegato come marcatore per verificare la natura maligna di un tumore). Lo scopo del mio progetto è testare, su modelli pre-clinici, l’efficacia anti-metastatica di un nuovo farmaco che vada a bloccare l’attività di CXCR4. Verificheremo la capacità di questo inibitore di prevenire la selezione delle MICs indotta dalla chemioterapia e quindi di impedire lo sviluppo di metastasi a distanza. Infine valuteremo la possibilità di monitorare le MICs durante il trattamento, con un metodo basato su un semplice prelievo ematico nel quale andare alla ricerca di eventuali cellule tumorali nel circolo sanguigno (CTCs)».
Quali sono le prospettive che questo lavoro apre per i pazienti?
«Gli attuali trattamenti farmacologici sono inefficaci dei tumori polmonari metastatici. Una terapia che preveda l’inibizione di CXCR4 potrebbe portare allo sviluppo di un trattamento mirato contro le cellule responsabili dell’insorgenza delle metastasi, in associazione all’uso di un marcatore basato sull’analisi delle CTCs capace di predire la risposta alla cura. Una terapia di questo tipo potrebbe portare, per i pazienti con tumore avanzato, a risultati duraturi nel tempo e a un miglioramento dell’aspettativa di vita».
In passato hai svolto la tua attività di ricerca all’estero, in Inghilterra: cosa ti ha lasciato questa esperienza?
«L’esperienza al Cancer Research UK Manchester Institute mi ha dato molto, sia dal punto di vista professionale che personale. Mettersi in gioco in un ambiente estraneo obbliga al confronto diretto con gli altri e permette di crescere molto velocemente. Certo all’inizio non è stato semplice misurarsi con una realtà nuova e con persone che hanno una visione del lavoro e della vita molto diverse dalla mia; con il tempo sono riuscita a inserirmi e ad avere le mie soddisfazioni, tra cui una pubblicazione su un’importante rivista scientifica. Oltre al ricordo di un’esperienza intensa e alle conoscenze tecniche assimilate, mi resta una splendida amicizia con una ragazza conosciuta in laboratorio, che continuo a sentire e che spesso mi riporta a Manchester».
Ricordi l’episodio o il momento in cui hai capito che la tua strada era quella della ricerca?
«Non c’è stato un unico e fondamentale episodio che mi ha portato a scegliere questa strada. Il percorso di studio è stato dettato da una predisposizione per le materie scientifiche, soprattutto per la genetica. Durante gli studi il mio interesse si è sempre più focalizzato sulla ricerca, in particolare quella in ambito oncologico: mi entusiasmava soprattutto la possibilità di lavorare a stretto contatto con la clinica e con i pazienti. Ho avuto la fortuna di lavorare fin dalla tesi di laurea in laboratori dove ho seguito progetti che mi hanno sempre appassionata. Per quanto a volte non facile e per quanto occorra davvero una buona dose di perseveranza e determinazione, ho sempre pensato che la mia strada fosse questa».
C’è una figura che è stata per te fonte di ispirazione?
«Mio nonno, che ha realizzato il suo sogno fondando e facendo crescere la propria azienda con grandissimo impegno, passione, determinazione e umiltà».
Cosa fai nel tempo libero? Ha i qualche hobby?
«Adoro viaggiare e amo molto la musica, soprattutto rock, e andare ai concerti. Amo nuotare e giocare a tennis».
Hai famiglia?
«Sì, ho una bimba di 6 mesi».
Se un giorno tua figlia ti dicesse che vuole fare la ricercatrice, cosa le diresti?
«Ne sarei contenta, le direi che non è una strada facile e che ci vuole molta passione, ma che è un lavoro che ti può regalare soddisfazioni uniche».