Nove cellule su dieci nel nostro organismo sono batteri. La maggior parte di essi risiede nell’intestino. Giulia Nizzoli studia come la loro composizione influenza lo sviluppo della malattia
Con quasi un milione e mezzo di nuove diagnosi al mondo ogni anno, è il terzo tumore più diffuso e la seconda causa di morte per malattie oncologiche: stiamo parlando del tumore del colon-retto, un vero e proprio problema sanitario. Migliaia di medici e ricercatori in tutto il mondo stanno lavorando per comprenderne la biologia e identificare cure efficaci e nuovi strumenti di prevenzione e diagnosi precoce. Tra questi, c’è anche Giulia Nizzoli; biotecnologa di 30 anni, originaria di Reggio Emilia ma da alcuni anni a Milano, dove ha prima ottenuto un dottorato di ricerca in Medicina Molecolare e Traslazionale all’Università degli Studi di Milano Bicocca e ora lavora come ricercatrice post-doc nell’Unità di Gastroenterologia dell’Università degli Studi di Milano sotto la guida di Flavio Caprioli.
Giulia, di cosa si occupa la tua ricerca?
«Studio la relazione tra alterazioni della flora batterica intestinale, in termine tecnico disbiosi, e lo sviluppo del cancro al colon-retto. Questo tumore è una malattia multifattoriale, influenzata cioè da molteplici fattori: mutazioni genetiche che possono predisporne l’insorgenza, alimentazione, processi infiammatori e anche dalla composizione della flora batterica. In modelli murini è stato osservato che la diminuzione del Clostridio ID4, batterio con proprietà anti-infiammatorie, aumenta l’infiammazione del colon che a sua volta è un fattore di rischio per lo sviluppo del tumore. Il mio obiettivo è identificare l’analogo umano del Clostridio ID4 murino in campioni prelevati da pazienti affetti dal tumore del colon-retto. Il passo successivo sarà verificare se il batterio mantiene la capacità di colonizzare l'intestino umano e la sua capacità di abbassare lo stato infiammatorio, nell’ottica di sviluppare un probiotico utile nella prevenzione. Il progetto è realizzato in stretta collaborazione col laboratorio di Immunobiologia delle cellule dendritiche e immunoterapia dell’Istituto Europeo di Oncologia di Milano, diretto da Maria Rescigno, che possiede una grande esperienza e competenza nello studio delle relazioni tra microbiota e intestino».
Quali applicazioni per la salute, anche a lungo termine, il tuo progetto potrebbe portare?
«Se riusciremo a identificare la specie batterica alterata nell'intestino dei pazienti, si potrà valutare se la sua somministrazione dall’esterno migliorerà l'infiammazione tissutale. In caso positivo, sipotrà mettere a punto un nuovo probiotico utile nella prevenzione della disbiosi nel carcinoma la colon-retto».
Perché hai scelto di intraprendere la strada della ricerca?
«Sin dal liceo ho maturato un forte interesse nel conoscere le cause di un determinato processo; questo, insieme alla mia passione per la medicina, mi ha naturalmente spinta a intraprendere la strada della ricerca scientifica biomedica».
Un momento della tua vita professionale che vorresti incorniciare e uno invece da dimenticare
«Da incorniciare, il giorno in cui sono riuscita a pubblicare su una rivista scientifica internazionale i risultati di tre anni di lavoro di ricerca. Da dimenticare, i momenti di sconforto che ti assalgono quando negli esperimenti nulla sembra andare per il verso giusto».
Come ti vedi fra dieci anni?
«Mi piacerebbe poter continuare la carriera scientifica nello studio delle malattie intestinali, ma onestamente non sono certa di poter sopportare a lungo lo stato di precarietà del settore».
Cosa ti piace di più della ricerca?
«Mi piace pensare di riuscire a scoprire qualcosa di importante, che potrà avere ricadute in campo medico. Fare ricerca significa percorrere strade non ancora esplorate, che possono rivelarsi impervie. Non è una scelta facile, ma il motto che mi guida, come diceva la grande Rita Levi Montalcini, è: Abbi il coraggio di conoscere».
E cosa invece eviteresti volentieri?
«Lavorando con tessuti provenienti da pazienti operati la programmazione della giornata risulta spesso difficile e non si hanno orari. E ovviamente, eviterei la precarietà di borse di studio annuali».
Se ti dico scienza e ricerca, cosa ti viene in mente?
«Laboratori, seminari, studio».
Una figura che ti ha ispirato nella tua vita professionale
«Rita Levi Montalcini. Una donna di rara intelligenza e tenacia, che ha fatto della ricerca scientifica lo scopo della vita, nonostante le difficoltà del periodo storico».
Qual è secondo te il filone di ricerca biomedica più promettente per il futuro?
«Direi senza dubbio l’immunoterapia».
Qual è per te il senso profondo che ti spinge ogni giorno a perseverare nel tuo lavoro?
«Lavorare su una patologia umana di grande rilievo come il cancro al colon-retto mi rende orgogliosa; la giusta motivazione per affrontare ogni singolo giorno si trova nella speranza che i miei risultati siano presto trasferiti in clinica: dal bancone al letto del paziente».
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Chiara Segré
Chiara Segré è biologa e dottore di ricerca in oncologia molecolare, con un master in giornalismo e comunicazione della scienza. Ha lavorato otto anni nella ricerca sul cancro e dal 2010 si occupa di divulgazione scientifica. Attualmente è Responsabile della Supervisione Scientifica della Fondazione Umberto Veronesi, oltre che scrittrice di libri per bambini e ragazzi.