Mutazioni nei geni ROS1 e RASAL1 potrebbero conferire una maggiore suscettibilità al cancro al seno, oltre a essere dei nuovi candidati lo screening genetico: la ricerca di Chiara Diquigiovanni
Il tumore al seno è la neoplasia femminile più comune al mondo e la seconda causa di morte tra le donne dopo il tumore al polmone. Le pazienti con una storia familiare (cioè con diversi casi nel proprio albero genealogico più stretto) possono beneficiare di percorsi di prevenzione e trattamento personalizzati: un esempio sono i test genetici, come la ricerca di mutazioni nei geni BRCA1 e BRCA2, spesso presenti in donne con tumore al seno ereditario. Queste mutazioni, tuttavia, spiegano solo una piccola percentuale dei casi. È quindi necessario ampliare le conoscenze mediche e identificare nuovi geni in grado di spiegare i casi familiari ed ereditari. Chiara Diquigiovanni è ricercatrice presso l’Università di Bologna e analizza il genoma delle pazienti colpite da tumore al seno alla ricerca di specifiche alterazioni. Recentemente i geni ROS1 e RASAL1 sono emersi come possibili fattori di “predisposizione” al tumore al seno, ma occorrono ulteriori studi per confermare queste indicazioni. Il suo progetto sarà sostenuto nel 2022 grazie a una borsa di ricerca di Fondazione Umberto Veronesi nell’ambito del progetto Pink is Good – dedicato ai tumori femminili.
Chiara, come nasce l'idea del vostro lavoro?
«Nasce dal fatto che, oggi, i geni noti di predisposizione per il tumore al seno sono pochi e le mutazioni identificate in questi geni spiegano solo il 30% dei casi. Per questo motivo riteniamo sia fondamentale espandere la conoscenza a ulteriori geni candidati. Questo ci consentirebbe di inserirli negli screening genetici, in modo da identificare precocemente le pazienti a rischio e poter sviluppare nuove strategie terapeutiche».
Come intendete portare avanti il vostro progetto quest’anno?
«Effettueremo un’analisi del sequenziamento (cioè di lettura del DNA) di ultima generazione in un grande numero di pazienti affette da tumore al seno, per identificare la frequenza di mutazioni in questi nuovi geni candidati. Inoltre, con l’editing del genoma (una tecnica che consente di modificare in maniera precisa specifici tratti del genoma - N.d.R.) inseriremo in una linea cellulare di tessuto mammario le mutazioni già identificate in ROS1 e RASAL1. Su questi campioni effettueremo studi funzionali e metabolici che ci potranno dare informazioni riguardanti la crescita tumorale, l’invasività, lo stress ossidativo e le possibili vie cellulari alterate».
Quali prospettive la vostra ricerca apre, anche a lungo termine, per la salute umana?
«Queste informazioni potranno contribuire a espandere la conoscenza dei fattori genetici responsabili della predisposizione al tumore al seno. Identificare ulteriori geni che causano il cancro al seno è fondamentale per estendere i benefici della sorveglianza e della prevenzione a un maggior numero di donne ad alto rischio, permettendo una diagnosi e una terapia precoce».
Sei mai stata all’estero per un’esperienza di ricerca?
«Sì, sono stata in Scozia all’Università di St. Andrews».
Cosa ti ha spinto a partire?
«La voglia di nuovi stimoli e la curiosità di vivere un’altra realtà lavorativa».
Cosa ti ha lasciato questa esperienza?
«Dal punto di vista lavorativo è stata un’esperienza molto formativa, che rifarei».
Ti è mancata l’Italia?
«Non lo avrei mai pensato, ma ammetto che mi è mancata».
Ricordi il momento in cui hai capito che la tua strada era quella della scienza?
«Non ricordo bene il momento esatto, o forse non c’è mai stato. So che sin da piccola sono stata affascinata dalla scienza e in particolare dalla biologia: ricordo giornate intere trascorse a osservare qualsiasi cosa al microscopio ricevuto come regalo di Natale!»
Come ti vedi fra dieci anni?
«Soddisfatta del mio percorso e spero con una stabilità lavorativa. Chissà…magari a capo di un gruppo di ricerca».
Cosa ti piace di più della ricerca?
«La libertà di poter pianificare la propria ricerca, i propri esperimenti e poter togliersi qualche curiosità».
E cosa invece eviteresti volentieri?
«La precarietà dei ricercatori».
Hai famiglia?
«Sì, ho un compagno, un figlio di due anni e sono in attesa del secondo».
Se un giorno tuo figlio ti dicesse che vuole fare il ricercatore, come reagiresti?
«Uhm…avrei sentimenti contrastanti. Ovviamente sosterrei qualsiasi sua scelta, ma lo metterei davanti al fatto che è un percorso difficile e pieno di ostacoli, che va affrontato con tanta caparbietà e passione. Spero che per i futuri ricercatori le cose siano più semplici rispetto a ora».
Sei soddisfatta della tua vita?
«Non ancora, ma è l’obiettivo che voglio raggiungere».
La cosa che più ti fa arrabbiare.
«L’ipocrisia».
Cosa vorresti dire alle persone che scelgono di donare a sostegno della ricerca scientifica?
«Vorrei dire loro grazie, perché con le loro donazioni rappresentano il vero grande motore della ricerca scientifica. Grazie per aiutarci a raggiungere quelle conoscenze che porteranno al miglioramento della vita di tutti».