In molti casi i tumori della prostata vanno incontro al fenomeno della differenziazione neuroendocrina, che li rendono resistenti alle terapie: Ida Rapa ne studia i meccanismi
Moltissimi progressi sono stati fatti nel trattamento del tumore alla prostata, il più diffuso tra gli uomini, in particolare dopo i cinquant'anni. Tuttavia, proprio in virtù della sua ampia casistica, la malattia rimane la seconda causa di morte per gli uomini nella popolazione occidentale. In una significativa quota di casi, il tumore prostatico va incontro alla cosiddetta differenziazione neuroendocrina, che porta le cellule colpite dalla neoplasia a produrre ormoni e ad annullare l'effetto della terapia ormonale anti-androgenica: principale trattamento del carcinoma della prostata avanzato e terapia neoadiuvante prima dell'intervento di asportazione dell'organo, nei pazienti ad alto rischio di recidiva. Il processo alla base della differenziazione neuroendocrina è ancora poco compreso nei suoi meccanismi molecolari ed è l’oggetto della ricerca di Ida Rapa, biologa campana che lavora nel dipartimento di oncologia dell’università di Torino ed è sostenuta da Fondazione Veronesi attraverso il progetto SAM-salute al maschile.
Ida, raccontaci il tuo progetto nello specifico.
«Il mio obiettivo è studiare i meccanismi molecolari che portano alla comparsa della differenziazione neuroendocrina e la resistenza farmacologica indotta da quest’ultima nel tumore della prostata. Nella prima fase cercherò di identificare su cellule prostatiche in coltura trattate con diversi farmaci, biomarcatori associati allo sviluppo della NED, tramite analisi molecolari e saggi di invasività e vitalità cellulare. Il set di potenziali marcatori che verranno individuati saranno validati in biopsie di pazienti affetti da cancro alla prostata, raccolte prima e dopo la terapia di deprivazione androgenica».
Quali potrebbero essere le ricadute future per la pratica clinica?
«Conoscere meglio i meccanismi che portano all’insorgenza della differenziazione neuroendocrina del tumore alla prostata è il primo passo per mettere a punto efficaci strategie per prevenirla o rallentarla, con il risultato di mantenere efficace la terapia anti-androgenica più a lungo possibile e impedire lo sviluppo di un tumore ormono-resistente più aggressivo e più difficilmente trattabile».
Ricordi il momento in cui hai capito che la tua strada era quella della scienza?
«Me lo ricordo bene. Avevo 12 anni quando mia mamma si è ammalata di tumore. All’epoca non capivo nemmeno cosa volesse dire questa parola, se non che era qualcosa di brutto che aveva portato paura e sconforto nella mia famiglia, ma già decisi che da grande me ne sarei occupata».
Cosa ti piace di più della ricerca?
«Lo stimolo a porsi domande e trovare risposte. E poi diciamo la verità: quando finalmente l’esperimento riesce la soddisfazione non ha prezzo».
E cosa invece eviteresti volentieri?
«Sicuramente il precariato».
Se ti dico scienza e ricerca, cosa ti viene in mente?
«Un fiume di ragazzi coi camici bianchi che cercano ne loro piccolo di dare risposte ai grandi quesiti della scienza».
Con chi ti piacerebbe andare a cena una sera e cosa ti piacerebbe chiedergli?
«Vittorio Sgarbi. Mi piacerebbe sentirlo parlare di arte, cosa che sa fare benissimo. Magari riuscirei anche a capire se è davvero così polemico come vuole apparire.«Per noi che li conosciamo, ogni supereroe sembra essere la diretta espressione del ragazzo che l’ha creato».
Chiara Segré
Chiara Segré è biologa e dottore di ricerca in oncologia molecolare, con un master in giornalismo e comunicazione della scienza. Ha lavorato otto anni nella ricerca sul cancro e dal 2010 si occupa di divulgazione scientifica. Attualmente è Responsabile della Supervisione Scientifica della Fondazione Umberto Veronesi, oltre che scrittrice di libri per bambini e ragazzi.