Carlos Nino studia come un malfunzionamento di un processo cellulare che coinvolge l’Rna può portare allo sviluppo o alla progressione del cancro
Decenni di ricerca scientifica hanno ormai chiarito come il cancro si sviluppi a partire da una cellula che abbia perso il controllo e abbia così iniziato a crescere e a dividersi senza fermarsi. Questo fenomeno accade spesso in relazione ad una mutazione nella sequenza del Dna che vada ad alterare il funzionamento dei geni che regolano la crescita. Recentemente si è però scoperto che c’è un altro meccanismo cellulare che, quando alterato, spesso porta all’insorgenza e alla progressione di diversi tipi di tumore: lo splicing dell’Rna. Si tratta del processo che normalmente modifica l’Rna, eliminandone alcune parti, per renderlo pronto a codificare una proteina. A volte uno stesso RNA di partenza può dare origine a proteine leggermente diverse tra loro (è il caso, ad esempio, delle grandi “famiglie” di proteine con strutture simili), se si rimuovono o si conservano parti diverse della sua sequenza: questo fenomeno prende il nome di splicing alternativo. È uno dei modi di “fare economia” del nostro genoma, che riesce così a produrre più proteine con lo stesso numero di geni. Alcuni studi hanno però evidenziato che un’alterazione di questo processo può portare a sviluppare alcuni tipi di tumore, pur in assenza di una mutazione del DNA. Nato a Bogotà e laureato in biochimica in Colombia, Carlos Nino punta a chiarire meglio in che modo questo succeda, con un progetto di ricerca condotto presso l’IFOM di Milano grazie al contributo di Fondazione Umberto Veronesi.
Carlos, di cosa ti occupi più di preciso?
«In questo progetto studio la miosina VI, una proteina deputata al trasporto di materiale all’interno della cellula, la cui sintesi è regolata dallo splicing alternativo. È stato infatti osservato che il processo di splicing alternativo della miosina VI è alterato nel cancro, dove viene prodotta un’unica forma di miosina VI, che risulta fondamentale per la capacità di metastatizzazione. Ecco perché questo lavoro punta a identificare i fattori che regolano lo splicing alternativo della miosina VI e a definirne il ruolo. Saranno analizzate anche altre proteine regolate dallo stesso meccanismo e con un comportamento simile, e si verificherà se la riprogrammazione dello splicing alternativo sia associato con un cambiamento di funzione potenzialmente pericoloso, come nel caso della miosina VI».
Quali potrebbero essere quindi le prospettive e le eventuali applicazioni per i pazienti?
«Le informazioni acquisite aiuteranno a comprendere meglio le cause dell’alterazione dello splicing alternativo della miosina VI e più in generale della progressione tumorale, e potrà contribuire a identificare nuovi bersagli farmacologici per il trattamento del cancro».
Come mai hai scelto di venire in Italia per fare ricerca? Come ti trovi qui?
«Lavorare in Europa non è un’esperienza nuova per me: ho già trascorso 4 anni in Francia, all’Institut Jacques Monod di Parigi e poi brevemente al Cancer Research Centre (CRCM) di Marsiglia. Ho poi deciso di venire in Italia per lavorare all’IFOM, un istituto di alto valore scientifico assolutamente competitivo nel panorama europeo. L’esperienza che acquisirò qui sicuramente aumenterà le mie capacità di scienziato. E poi mi è sembrato interessante poter vivere in Italia: è un paese magnifico con persone amichevoli e gentili (e inoltre adoro la pasta!). La differenza più importante nel vivere quotidiano in Europa per un colombiano è l’esistenza delle stagioni e i cambiamenti drastici di temperatura tra estate e inverno. In Colombia la temperatura è per lo più costante, con piccole variazioni nei giorni di pioggia. Adattarsi a questi cambiamenti non è sempre così immediato».
Hai qualche hobby o passione al di fuori dell’ambito scientifico?
«Mi piace leggere, in particolare su argomenti a carattere storico. Inoltre dedico parte del mio tempo libero alle lezioni di lingua italiana, indispensabili per comprendere meglio la vostra cultura».
Perché hai scelto di intraprendere la strada della ricerca?
«Quando ho finito le scuole superiori ho deciso di studiare chimica all’università. Volevo studiare la materia, capire come sono fatti atomi e molecole, e come possono reagire per creare ciò che ci circonda. Durante questo percorso ho potuto venire a contatto anche con il mondo della biochimica e della biologia molecolare, che per me rappresenta una sorta di “chimica della vita”, e ho iniziato a chiedermi come gli organismi viventi fossero composti a livello molecolare, e come i difetti in questa organizzazione possano portare ad alterazioni cellulari e a malattie. Da quel momento ho scelto realmente di diventare un ricercatore, per poter così non solo soddisfare la mia curiosità intellettuale, ma anche comprendere l’origine di malattie socialmente rilevanti come il cancro».
Come ti vedi fra 10 anni?
«In laboratorio, magari impegnato maggiormente sul lato intellettuale del lavoro di ricerca. Di certo mi piacerebbe continuare ad impegnarmi su progetti con una diretta ricaduta sulla salute umana: credo quindi che continuerò a studiare lo sviluppo dei tumori».
Perchè pensi sia importante investire nella ricerca?
«L’unico modo per scoprire come curare le malattie è investigare le loro cause e comportamenti. E questo è possibile solo se i ricercatori hanno il supporto economico sufficiente a portare avanti il loro lavoro».
Scienza e società sembrano spesso in contrasto: qual è la tua opinione a riguardo?
«Non credo ci sia un vero conflitto tra scienza e società: è più una mancanza di comunicazione tra le due parti, che genera la sensazione che non ci sia un legame tra di loro. I media sono ormai una voce importante della nostra società e gli scienziati dovrebbero iniziare ad averci più a che fare, partecipando ad esempio a programmi TV o documentari che spieghino cosa fanno e quali sono le implicazioni sulla cittadinanza».
Al di là dei contenuti scientifici, qual è per te il motivo profondo che ti spinge a fare ricerca e dà un significato alle tue giornate lavorative?
«La scienza è una parte essenziale della mia vita, com’è normale per chi ci ha dedicato tanto tempo (tra formazione e lavoro in laboratorio). D’altro canto, la scienza è anche il modo con cui posso dare il mio contributo alla società, comprendendo l’origine delle malattie umane».