Identificare nuove popolazioni cellulari “staminali” potrebbe aprire la strada a nuove terapie nel tumore del colon-retto: la ricerca di Sabrina Fletcher
Il cancro del colon-retto è uno dei tumori più frequenti a livello mondiale. In Italia colpisce circa 47mila persone ogni anno e, sebbene oggi siano disponibili diverse strategie di trattamento, la mortalità risulta ancora piuttosto alta a causa dell’insorgenza di farmaco-resistenze. Secondo alcune ipotesi recenti, le differenze nella prognosi – legate proprio all’insorgenza di resistenze – sarebbe da ricercarsi nell’eterogeneità delle popolazioni cellulari che costituiscono la massa tumorale.
Sabrina Fletcher è ricercatrice presso l’Università di Torino, dove studia il comportamento del tumore colorettale a livello di “singola cellula”, usando modelli in tre dimensioni. La sua ricerca sarà sostenuta per il 2023 da una borsa di ricerca di Fondazione Umberto Veronesi.
Sabrina, come nasce l’idea del tuo progetto?
«Questo progetto è stato concepito in collaborazione con il mio supervisore, con l'obiettivo di ampliare le recenti scoperte sulle sottopopolazioni tumorali nel tumore del colon-retto, e il loro ruolo nella progressione tumorale e nella resistenza ai farmaci».
Perché hai scelto di seguire questa linea di ricerca?
«Perché si tratta di un progetto innovativo che – attraverso tecniche all’avanguardia – vuole ottenere una comprensione più approfondita della biologia tumorale, in particolare del cancro del colon-retto. I dati raccolti potrebbero essere importanti per lo sviluppo di nuovi farmaci antitumorali».
Quali sono gli aspetti scientifici che volete approfondire?
«Vorremmo identificare la presenza di sottopopolazioni cellulari distinte all'interno dei tumori e il loro ruolo nella progressione tumorale e nella resistenza ai farmaci».
Come porterete avanti questo progetto?
«Utilizzeremo un'ampia collezione di organoidi, cioè di modelli di tumori in vitro provenienti da campioni di pazienti con cancro del colon-retto. Eseguiremo una caratterizzazione approfondita di questi modelli tridimensionali a livello di singola cellula, ponendo particolare attenzione ai gruppi di cellule che mostrano un comportamento simile, quindi appartenenti alla stessa sottopopolazione. Studieremo il loro ruolo nella progressione del tumore e nella tolleranza ai farmaci».
Quali prospettive apre, anche a lungo termine, per la conoscenza biomedica e per la salute umana?
«Individuare specifiche sottopopolazioni con caratteristiche particolari all’interno di un tumore significa aprire la strada allo sviluppo di farmaci specifici, diretti contro le cellule più aggressive. Questo studio potrebbe anche aiutarci a capire perché alcune cellule tumorali sono in grado di resistere ai trattamenti e quindi di generare potenzialmente nuovi tumori».
Com’è la tua giornata tipo in laboratorio?
«Arrivo in laboratorio al mattino e la prima cosa che faccio è controllare le e-mail per verificare se ci sono novità importanti. Poi vado nel laboratorio delle colture cellulari (dove si manipolano gli organoidi) per mantenere le cellule ed eseguire gli esperimenti. Alcuni esperimenti posso farli fuori dalla stanza di colture cellulari, in un normale laboratorio. Per altri ho bisogno di attrezzature specifiche, come una cappa chimica, che si trova in una stanza separata. Trascorro molto tempo al microscopio a fluorescenza per scattare immagini degli organoidi, poi faccio l'analisi dei dati in ufficio. Durante la settimana mi incontro sia con i colleghi del mio gruppo di ricerca, sia di altri laboratori per discutere degli esperimenti, delle possibili collaborazioni e dei problemi da risolvere. Non lascio il laboratorio finché non ho fatto il report di tutti gli esperimenti eseguiti quel giorno».
La vita per un ricercatore in Italia non è semplice. Perché hai scelto di fare ricerca qui?
«Sono venuta in Italia perché cercavo un posto con un clima più gradevole e con persone più amichevoli rispetto a dove vivevo prima. In effetti qui la gente è gentile e anche il clima è migliore. Inoltre, ho sempre voluto imparare l'italiano. Per quanto riguarda gli aspetti negativi, le condizioni di lavoro non sono delle migliori: gli stipendi sono bassi e sembra che ci sia un sistema molto gerarchico, che credo non giovi né alla scienza, né agli scienziati».
Perché hai scelto di dedicarti alla ricerca scientifica?
«Voglio dare un contributo ai problemi della salute umana, facendo scoperte che possano aiutare a combattere le malattie. Inoltre mi piace risolvere i puzzle e la scienza a volte si svolge in questo modo».
Quali sono le principali sfide di questo lavoro?
«Le sfide sono molte, una di queste è la capacità di gestire la frustrazione. Scoprire una cosa nuova non è un compito facile e di solito ci vogliono molti sforzi, tempo e ottimismo. La nota positiva è che quando poi si giunge a una nuova scoperta, o anche solo a un piccolo indizio che ci potrebbe condurre a essa, le soddisfazioni sono tante e ci si sente motivati a proseguire».
Spesso le tematiche scientifiche sono oggetto di controversia pubblica. Percepisci fiducia nel tuo lavoro?
«A mio parere, il mondo scientifico non è nel suo momento migliore. Sia nel mondo accademico, sia nella ricerca privata, l'obiettivo è passato dalla ricerca di nuove informazioni che aiutino l'umanità a progredire nell’ambito della salute umana o ambientale, a un indirizzo più legato al profitto e al prestigio. Credo che questa perdita di focus sia in qualche modo percepita dalla società. Tuttavia, credo che la figura del ricercatore sia ancora rispettata in termini generali».
Secondo te in che modo la scienza e la comunità scientifica potrebbero migliorare?
«Per cominciare, dovremmo cambiare i parametri con cui un ricercatore viene valutato. Inoltre, sarebbe necessaria una nuova politica editoriale, perché con quella attuale e a causa degli alti costi di pubblicazione molte ricerche non vedono mai la luce. Infine, dovremmo chiedere maggiore trasparenza nella pubblicazione dei risultati: purtroppo negli ultimi anni sono aumentati i lavori ritrattati a causa della manipolazione dei dati e questo non aiuta la società a fidarsi degli scienziati».
Parliamo di te, c’è una cosa che vorresti fare almeno una volta nella vita?
«Andare in Giappone».
Sei soddisfatta della tua vita?
«Sì, lo sono».
Cosa ti piace fare nel tempo libero?
«Mi piace correre, fare escursioni, praticare ginnastica acrobatica e yoga. Mi piace leggere libri e visitare posti nuovi. Vorrei passare più tempo con la mia famiglia, ma riesco a vederla solo una volta all'anno perché vive in Argentina».
Cosa vorresti dire alle persone che scelgono di donare a favore della ricerca scientifica?
«Siamo in un periodo dell'umanità in cui la comprensione di ciò che ci circonda è immensa. Abbiamo imparato molto, ma abbiamo ancora tanta strada da fare. Le tecnologie di cui disponiamo oggi ci permettono di fare cose che prima non erano possibili. Tutto questo non sarebbe stato possibile senza il sostegno di migliaia di persone che, proprio come gli scienziati, cercano di avere un peso nel mondo sostenendo la ricerca, con la speranza di aiutare l'umanità a essere migliore di ieri. Personalmente sono molto grata a tutti coloro che hanno sostenuto il settore scientifico in qualsiasi modo».