Una donna al lavoro per le altre donne: la biotecnologa Irene Catucci, 33 anni, porta avanti un progetto di ricerca sulle mutazioni genetiche del tumore al seno nell’ambito del progetto Pink is Good
Maggio è, per definizione, il mese dedicato alle donne e in particolare alle mamme. E mamma di un bambino di un anno è anche Irene Catucci, biotecnologa originaria di Bari ma da diversi anni a Milano, dove lavora come ricercatrice post-dottorato all’Istituto FIRC di Oncologia Molecolare. Ex arbitro di calcio, sul campo ha affinato la giusta grinta per affrontare il lavoro nella ricerca, spesso irto di sacrifici ed ostacoli. Il suo ambito di ricerca? Le mutazioni genetiche collegate al tumore al seno, la neoplasia più diffusa nel sesso femminile al mondo e che, nonostante gli enormi passi avanti compiuti dalla ricerca che ha portato la sopravvivenza a cinque anni intorno all’87 per cento, a causa della sua diffusione è ancora la prima causa di morte per tumore tra le donne.
Il venti per cento dei tumori al seno ha un’origine familiare, e un altro cinque-dieci per cento è collegato a specifiche mutazioni genetiche ereditarie. Quelle più studiate appartengono ai geni Brca1 e Brca2 (portate alla ribalta mediatica dall’attrice Angelina Jolie), ma anche mutazioni in altri geni, come Atm, p53, Pten e Fancm, sono associate a un maggior rischio di sviluppare tumore al seno. Proprio sul gene Fancm e sul legame con la suscettibilità al tumore mammario si concentra l’attività di ricerca di Irene.
Irene, ci racconti nei dettagli qual è il tuo progetto di tua ricerca?
«Il primo passo del mio lavoro è studiare la frequenza delle mutazioni note di Fancm in circa ottantamila pazienti affette da tumore della mammella e ottantamila donne sane, per verificare se tali mutazioni sono collegate statisticamente a un aumento del rischio di sviluppare la malattia. In seguito, attraverso metodologie di sequenziamento massiccio del DNA, andremo alla ricerca di nuove mutazioni non ancora note potenzialmente associate ad un aumento del rischio. I risultati nel loro complesso ci permetteranno di fare una valutazione del ruolo del Fancm sulla predisposizione genetica al carcinoma mammario».
E queste informazioni potranno essere preziose per individuare famiglie a rischio?
«Esattamente; poter quantificare il rischio di sviluppare un tumore al seno permetterà di personalizzare i programmi di prevenzione e sorveglianza nelle famiglie considerate a rischio, mettendo in atto programmi di esami e controlli più frequenti di quanto non sia suggerito alla popolazione generale. Intercettare il tumore nelle fasi iniziali può fare davvero la differenza nell’esito del percorso di cura».
Perché hai scelto di intraprendere la strada della ricerca?
«Credo di averlo deciso quando mio nonno si è ammalato di tumore, per la voglia di fare qualcosa di utile per migliorare la salute di tutti».
Cosa ti piace di più della ricerca?
«Vedere che quello che fai si traduce in un risultato, qualcosa che tocchi con mano e che è reale».
E cosa invece eviteresti volentieri?
«La precarietà e l’incertezza del futuro sono un problema, soprattutto quando si ha una famiglia».
Se ti dico scienza e ricerca, cosa ti viene in mente?
«Il progresso».
Pensi che la scienza e la ricerca abbiano dei “lati oscuri”?
«Ci sono problemi etici di grossa portata, dall’uso degli animali al reperimento del materiale biologico, ad esempio le staminali. Lo scienziato non è solo un tipo strano che fa esperimenti tutto il giorno in un laboratorio. È una persona che ha delle responsabilità verso il suo lavoro e verso le persone che credono - e investono - in lui».
Cosa ne pensi dei “complottisti” e delle persone contrarie alla scienza per motivi “ideologici”?
«Al momento la scienza è ancora troppo lontana dalle persone e a volte gli scienziati sono troppo poco aperti al dialogo. Io credo sia giusto avere delle opinioni, soprattutto diverse che stimolano il dialogo e la discussione, purché siano motivate e basate su fondamenta solide, su notizie o informazioni corrette. Credo che la maggior parte dei complottisti non sia correttamente informato e, peggio, non abbia alcuna volontà di esserlo. Internet, i social network e i media in generale, che dovrebbero aiutare ad una corretta divulgazione della scienza, sono invece pieni di notizie false a cui la gente crede, anche perché spesso non ha molto a cui appigliarsi. È indispensabile, soprattutto per tutelare la salute, che gli scienziati si mettano al servizio dell’intera comunità, che siano capaci di spiegare e rispondere alle domande con parole semplici».
Qual è la cosa di cui hai più paura?
«Sarà strano a dirsi per una come me che le studia, ma sono le malattie. Soprattutto adesso che sono mamma, sono spaventata all’idea che mio figlio possa ammalarsi gravemente».
Qual è per te il senso profondo che ti spinge a fare ricerca ogni giorno?
«Sapere che in qualche modo, prima o poi, il mio lavoro sarà di aiuto per qualcuno e potrà fare la differenza».
Chiara Segré
Chiara Segré è biologa e dottore di ricerca in oncologia molecolare, con un master in giornalismo e comunicazione della scienza. Ha lavorato otto anni nella ricerca sul cancro e dal 2010 si occupa di divulgazione scientifica. Attualmente è Responsabile della Supervisione Scientifica della Fondazione Umberto Veronesi, oltre che scrittrice di libri per bambini e ragazzi.