Francesca Bianchi sta mettendo a punto un trattamento "aerosol" non invasivo per stimolare la risposta immunitaria contro il tumore
Il tumore dei polmoni colpisce ogni anno oltre 40 mila italiani: si tratta della terza neoplasia più frequentemente diagnosticata, e resta a tutt’oggi la prima causa di morte per cancro. Da sempre Fondazione Umberto Veronesi è impegnata nel promuovere corretti stili di vita e nel disincentivare il vizio del fumo, primo fattore di rischio nell’insorgenza di tumori polmonari, con il progetto No smoking be happy. È tuttavia importante che la ricerca continui a cercare strategie di cura efficaci per garantire chances sempre maggiori di guarigione dal cancro dei polmoni.
Le molecole della famiglia dei Recettori Toll-Like (TLRs) sono presenti sulla superficie di molti tipi di cellule dell’immunità: sono fondamentali nel riconoscere i microrganismi patogeni e attivare il nostro sistema immunitario per eliminarli. I TLRs sono presenti anche nelle cellule tumorali, dove se attivati danno il via ad una cascata di eventi molecolari che termina con la morte della cellula neoplastica.La ricerca ha sviluppato delle molecole in grado di legarsi a questi recettori e mimare un’infezione, per attivare così il sistema immunitario contro il tumore. La biotecnologa comasca Francesca Bianchi lavora all’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, dove grazie a Fondazione Umberto Veronesi sta verificando l’efficacia di una terapia contro il tumore al polmone basata proprio sulla stimolazione di un TLR.
Francesca, ci parli più nel dettaglio del tuo progetto di ricerca?
«Alcuni risultati preliminari hanno mostrato che un particolare TLR, il TLR3, è presente su oltre un terzo dei tumori del polmone. Lo scopo del mio progetto è quindi chiarire se una terapia basata su una molecola che leghi il TLR3, somministrata via aerosol, sia efficace nel combattere il tumore al polmone. Molecole come quella impiegata in questo trattamento, capaci di attivare un TLR, vengono già correntemente usate in clinica. Il limite del loro successo è però la modalità di somministrazione: si sono dimostrate fortemente efficaci infatti solo quando dispensate localmente, vicino al tumore. L'aerosol è una possibile modalità di assunzione di trattamenti farmacologici, non invasiva e di facile utilizzo, che ci permetterebbe di raggiungere anche un tumore interno come quello del polmone. È peraltro già stato osservato come la somministrazione sotto forma di aerosol non abbia di per sè effetti collaterali, e potrebbe avere un grosso impatto nell'agio dei pazienti durante il loro trattamento».
Quali benefici ti aspetti nello specifico da questo trattamento?
«Andare ad attivare il TLR3 potrebbe avere un duplice effetto: stimolare il nostro sistema immunitario contro il tumore e allo stesso tempo indurre direttamente la morte delle cellule tumorali. I risultati del nostro studio potrebbero quindi avere un’immediata ricaduta clinica».
Francesca, tu hai sempre fatto ricerca in Italia: ti piacerebbe fare un’esperienza all’estero?
«Trascorrere un periodo all’estero durante la propria formazione è la cosa migliore per un ricercatore. Durante il mio dottorato ho avuto una splendida bambina, e questo ha cambiato le mie priorità. Magari ora che è cresciuta potrei realizzare anche questo obiettivo: mi piacerebbe poter andare in Cina, un paese il cui potenziale nell’ambito della ricerca sta crescendo tantissimo negli ultimi anni».
Come ti vedi fra 10 anni?
«Vorrei poter fare ancora ricerca, ma se ciò non fosse possibile metterei la mia esperienza al servizio della divulgazione scientifica».
Pensi che la scienza e la ricerca abbiano dei “lati oscuri”?
«Sì: purtroppo anche la ricerca corre sempre il rischio di esser guidata nei suoi obiettivi dal profitto, dal momento che necessita comunque di essere finanziata onerosamente. Una classe politica illuminata dovrebbe comprendere che si tratta di un bene pubblico e quindi essere guida e controllore attento».
Cosa ne pensi dei “complottisti” e delle persone contrarie alla scienza per motivi “ideologici”?
«Mi fanno molta rabbia. Perché dall’abuso della libertà di informazione che abbiamo oggi deriva troppo spesso la confusione tra ideologia e dati scientifici oggettivi. Questa forma di ignoranza va combattuta dalle istituzioni e da tutti i soggetti coinvolti nel campo della salute».
Cosa fai nel tempo libero?
«Sono appassionata di fotografia, mi aiuta a capire qual è il modo in cui guardo il mondo». Quando è stata l’ultima volta che ti sei commossa? «Il primo giorno di scuola delle mie due bambine».
Cosa invece ti fa ridere a crepapelle?
«Il mio gatto che cade dal muretto mentre sogna!».
Una cosa che vorresti assolutamente fare almeno una volta nella vita.
«Un viaggio oltreoceano con i miei genitori, che non hanno mai nemmeno volato».
Una “pazzia” che hai fatto.
«Improvvisarmi allevatrice e tenere quattro pecore e un asino in giardino».
Sei soddisfatta della tua vita?
«Abbastanza, anche se vorrei trovare il modo di conciliare meglio famiglia e lavoro…».
Il tuo libro preferito?
«”Cent’anni di solitudine”».
Una figura che ti ha ispirato nella tua vita professionale e personale.
«La dottoressa Sylvie Ménard ha lavorato per 45 anni nel Dipartimento di Oncologia sperimentale dell’Istituto Nazionale dei Tumori, da ultimo come Direttore del Dipartimento: un esempio di ricercatrice tenace e integra. Da ricercatrice è diventata paziente e ha provato sulla sua pelle le sofferenze, le ansie, le paure che i malati oncologici vivono ogni giorno. Come ricercatori non siamo mai al letto del paziente, e non possiamo quindi sapere fino in fondo cosa si prova. La sua esperienza mi ha convinto di come la ricerca deve anche orientarsi a utilizzare terapie meno invasive, somministrate tranquillamente a casa, per aiutare il paziente a elaborare la malattia e viverla con maggior serenità».