Oggi, per diagnosticare l’osteosarcoma giovanile, è fondamentale la biopsia ossea: Concetta Avitabile vuole sviluppare un test non invasivo studiando i marcatori del cancro
L’osteosarcoma è un tumore maligno raro che nasce dalle cellule ossee chiamate osteoblasti (cellule che costruiscono l’osso) e osteoclasti (cellule che agiscono come spazzini dell’osso morto e aiutano l’osso a mantenere la sua forma naturale). Si tratta di una neoplasia aggressiva maggiormente presente in età pediatrica. In Italia, secondo i dati in possesso dell’Associazione Italiana Registri Tumori (Airtum), si registrano ogni anno poco più di cento casi di malattia, pari all’incirca a un quinto del totale delle diagnosi di tumori ossei in età pediatrica e giovanile.
L’osteosarcoma può colpire qualsiasi segmento osseo, anche se la quasi totalità dei casi riguarda le ossa lunghe (omero, radio, ulna, femore, tibia e perone). In caso di sospetto, il medico curante può richiedere una radiografia della sede sospetta, che può essere seguita con mezzo di contrasto o una risonanza magnetica per avere immagini più dettagliate dell’osso. In ogni caso, per avere ulteriore conferma, il passo successivo è il prelievo bioptico che serve per dare certezza alle analisi precedenti.
Concetta Avitabile, chimica dell'Istituto di Cristallografia del Cnr di Bari, col sostegno di Fondazione Umberto Veronesi svolge il proprio progetto di ricerca con l’obiettivo di sviluppare un test non invasivo in grado di rilevare precocemente questa neoplasia nei giovani pazienti.
Concetta, stai per cominciare un nuovo progetto sull’osteosarcoma. Di cosa ti occuperai?
Il mio progetto di ricerca si basa sulla progettazione e la sintesi di molecole per la diagnosi precoce dell’osteosarcoma pediatrico, un tumore molto aggressivo diffuso soprattutto tra i bambini e gli adolescenti. Al momento non ci sono screening raccomandati per l’osteosarcoma, e quindi c'è urgente bisogno di un test diagnostico specifico, e non invasivo, basato sul rilevamento di nuovi biomarcatori (molecole biologiche specifiche dei tumori, ndr)».
Su quali aspetti ti concentrerai?
«Uno strumento diagnostico basato su una “traccia genetica” del tumore, o biomarcatore, potrebbe rappresentare un approccio non invasivo in grado di fornire un profilo della malattia in breve tempo. Studi recenti hanno dimostrato il coinvolgimento dei micro-Rna (miRna), piccole molecole di Rna non codificanti, in numerose malattie, tra cui il cancro. In particolare, il rilevamento dei livelli di miRna nel sangue, nel plasma e nel siero può essere usato per una diagnosi precoce della malattia, oltre che per prevedere la prognosi e la risposta alla terapia».
Da dove comincerai?
«Il progetto di ricerca incentrato prima di tutto sull’individuazione di potenziali candidati biomarcatori, come ad esempio miRna 27a e miRna 223, implicati nell’insorgenza dell’osteosarcoma. Poi mi concentrerò soprattutto sulla progettazione e la sintesi di “sonde” altamente innovative, che siano specifiche e in grado di rilevare specifiche questi specifici biomarcatori genetici in tempi brevi e con accuratezza».
Quali prospettive apre, anche a lungo termine, per la conoscenza biomedica e le eventuali possibili applicazioni alla salute umana?
«L’utilizzo di questo sistema di diagnosi potrebbe comportare delle ricadute positive per il Servizio Sanitario Nazionale in termini di maggior numero di diagnosi precoci, minor numero di diagnosi errate e cure inappropriate, oltre al contenimento delle ospedalizzazioni per i pazienti non diagnosticati o diagnosticati tardivamente. Inoltre, le indicazioni diagnostiche sulla base dei microRna potranno indirizzare verso un programma terapeutico di tipo personalizzato, migliorando la qualità delle cure».
Concetta, sei mai stata all’estero per fare ricerca?
«Sì, ho trascorso un periodo di tempo presso l’University College Dublin a Dublino. Avevo voglia di misurarmi in un contesto diverso e mettere alla prova le mie capacità, ampliare i miei orizzonti culturali e le mie conoscenze scientifiche».
Cosa ti ha lasciato questa esperienza?
«Mi ha consentito di crescere molto, sul piano personale e professionale. In negativo, ho capito quanto sia complicato fare ricerca nel mio Paese. Ovviamente l’Italia mi è mancata, non è mai facile trasferirsi dove tutto è un’incognita, con rinunce e numerose sfide da affrontare. Ma spesso una scelta di questo tipo è necessaria, perché espandere i propri orizzonti culturali può dare benefici anche alla propria vita professionale».
Perché hai scelto di voler fare ricerca?
«Ho deciso di intraprendere questa strada perché sin da adolescente. Ho sempre avuto l’esigenza di voler fare qualcosa che potesse in qualche modo contribuire al miglioramento della salute umana. Questa cosa mi è stata molto chiara quando ho perso a 17 anni mia madre per un tumore al mediastino. Ho capito che avrei dedicato i miei studi e la mia vita alla ricerca di nuove cure per le malattie. In particolare, contro il cancro».
Cosa ti piace di più della ricerca?
«La fase di studio delle malattie e la progettazione di adeguati sistemi per curarle e combatterle. Mi piace il fatto di impiegare la propria vita e il proprio lavoro per uno scopo nobile».
E cosa invece eviteresti volentieri?
«Eviterei volentieri tutti gli impedimenti burocratici che spesso impediscono di portare avanti i propri studi e progetti».
Se ti dico scienza e ricerca, cosa ti viene in mente?
«La scienza racchiude la ricerca e le due cose insieme offrono numerose e promettenti opportunità di sviluppare in modo significativo nuove metodologie per la prevenzione e la diagnosi delle malattie. Oltre che di nuove terapie mediche atte a migliorare la qualità della vita».
Cosa avresti fatto se non avessi fatto il ricercatore?
«Probabilmente il medico, mi sarei iscritta alla facoltà di medicina e chirurgia».
Hai qualche hobby o passione al di fuori dell’ambito scientifico?
«Nel tempo libero mi occupo di volontariato presso associazioni e rifugi per animali».
Hai famiglia?
«Ho un compagno e vorrei tanto un figlio».
E se un giorno ti dicesse che vuole fare il ricercatore, come reagiresti?
«Nonostante tutte le difficoltà incontrate in questi anni, lo incoraggerei fortemente a seguire questa sua passione».
Un ricordo a te caro di quando eri bambina.
«Il ricordo di mia madre. È anche quello che in questi anni mi ha spinto a non mollare e andare avanti in questo campo».