I mastociti potrebbero essere implicati nello sviluppo di resistenze ai farmaci contro il tumore al seno. La ricerca di Maria Teresa Majorini
I tumori non sono tutti uguali e nemmeno quelli che colpiscono lo stesso organo sfuggono a questa regola. Le neoplasie al seno, per esempio, possono essere divise in tre categorie (dal punto di vista molecolare). Osservando la presenza di specifici recettori, si possono distinguere tumori sensibili agli ormoni, tumori HER2 positivi e tumori triplo-negativi. Circa il venti per cento dei carcinomi alla mammella è caratterizzato da un’elevata espressione di HER2 (chiamato appunto HER2 positivi), un recettore in grado di legare una molecola (il fattore di crescita epidermico) e innescare la proliferazione cellulare. La migliore terapia per questo tipo di cancro è il trastuzumab, un anticorpo in grado di legarsi al recettore HER2 bloccandone l’attivazione e, quindi, la cascata di eventi che conferiscono aggressività alle cellule tumorali.
Lo sviluppo di trattamenti mirati ha notevolmente migliorato la prognosi delle pazienti con cancro al seno HER2 positivo, tuttavia l’efficacia della terapia è spesso limitata dall’insorgenza di resistenze e recidive. Negli ultimi anni, oltre all’importanza nel profilo molecolare delle cellule tumorali, sono emerse numerose prove che sottolineano l’importanza del sistema immunitario che interagisce con la massa tumorale: alcune cellule immunitarie, come i mastociti, possono fornire molte informazioni sul decorso tumorale e sulla possibilità di recidive. Studiare questi meccanismi molecolare è l’obiettivo di Maria Teresa Majorini, ricercatrice all'Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, finanziata da Fondazione Umberto Veronesi nell’ambito del progetto Pink is Good a sostegno dei tumori femminili.
Maria Teresa, vuoi dirci qualcosa di più sulla tua ricerca?
«Studi recenti hanno dimostrato che la presenza di specifiche cellule immunitarie può influenzare l'esito delle terapie nei tumori HER2 positivi. In particolare un insieme di geni espressi dai mastociti sembra essere in grado di identificare le pazienti con tumore HER2 positivo che presentano un alto rischio di recidiva dopo il trattamento con trastuzumab».
Cosa sono i mastociti e in che modo contribuirebbero allo sviluppo di resistenza e recidive?
«I mastociti sono cellule del sistema immunitario che hanno il compito di difenderci dagli agenti patogeni e favorire la guarigione delle ferite. Queste cellule rilasciano diversi fattori di crescita nel microambiente tumorale - l’ambiente composto da cellule tumorali, non tumorali e molecole extracellulari nel quale si sviluppa la neoplasia - che potrebbero attivare il recettore dell’estrogeno, uno dei principali meccanismi finora imputati per la resistenza al trastuzumab».
Quindi i mastociti potrebbero agire sul recettore degli estrogeni?
«È una delle ipotesi. Studi recenti condotti nel nostro istituto hanno dimostrato che la firma genica dei tumori ad alto rischio di recidiva dopo trattamento con trastuzumab è composta da geni tipici dei mastociti, associati a geni attivati dal recettore dell’estrogeno. Il mio studio valuterà proprio il ruolo dei mastociti nel promuovere l'attività e l’espressione dei recettori per gli estrogeni nelle cellule tumorali».
Nel caso il loro ruolo si confermasse importante, potremmo usare i mastociti per valutare il rischio di recidiva tumorale?
«Sì, l’identificazione e la conoscenza dei meccanismi alla base della resistenza al trastuzumab può gettare le basi per la messa a punto di test e screening in grado di predire il rischio di recidive, e potrebbe aiutare lo sviluppo di approcci terapeutici più efficaci e innovativi».
Maria Teresa, raccontaci di te. Ti piacerebbe fare un’esperienza di ricerca all’estero?
«Assolutamente sì. Dopo la laurea magistrale ho iniziato subito il dottorato presso l’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, per cui ho momentaneamente messo da parte il mio desiderio di andare all’estero. Credo però che un’esperienza di questo tipo sia fondamentale per un ricercatore. A parte la sfida personale che comporta il trasferimento in un Paese straniero, ciò che mi attira di più è la possibilità di lavorare in un ambiente internazionale. Centri di ricerca come il Francis Crick di Londra e il Mount Sinai di New York rappresentano per me eccellenze a cui aspirare».
La ricerca richiede molta dedizione. Cos’è che ti motiva e ti spinge ad andare avanti?
«Quello del ricercatore è un lavoro unico, ricco di aspetti positivi, mai noioso o monotono. È facile essere stimolati e appassionarsi se spinti da curiosità, interesse e voglia di ottenere nuovi risultati per chiarire questioni scientifiche ancora irrisolte e confermare le proprie ipotesi».
C’è invece qualcosa che eviteresti volentieri?
«Il precariato che porta spesso molti scienziati ad abbandonare la strada della ricerca per avere una maggiore stabilità».
Ci sono state delle figure di riferimento nella tua vita?
«La mia fortuna è essere circondata da persone che mi supportano e sostengono nella mia vita personale e professionale. Senza dubbio la mia famiglia rappresenta per me un valore unico: papà mi ha insegnato la determinazione, mamma mi ha trasmesso l’entuasiasmo e la dolcezza e infine c’è mia sorella, la mia complice più grande».
Quali sono i tuoi hobby e le tue passioni al di fuori del bancone?
«Ho diverse passioni, ma la principale è sicuramente viaggiare. Adoro fissare la prossima meta, organizzare ogni tappa del viaggio per cercare di visitare il più possibile e cogliere il meglio di ogni posto. Mi piace anche la fotografia, che mi permette di immortalare i momenti migliori di ogni viaggio. Amo la musica e le mie serate preferite sono quelle trascorse con gli amici in qualche locale con concerti live».
Pratichi anche qualche sport?
«Non sono una grande sportiva, ma un allenamento in palestra è ciò che più mi rilassa dopo una lunga giornata in laboratorio. Adoro inoltre fare lunghe passeggiate nella natura quando nel week-end lascio Milano per tornare a Fino del Monte, il mio paese natale nella bergamasca».
Cosa avresti fatto se non avessi fatto il ricercatore?
«Probabilmente il medico. Non avere un rapporto diretto con il paziente è ciò che più mi manca nel mio lavoro».