I pazienti affetti da neuroblastoma possono sviluppare ricadute e resistenza. Daniela Di Paolo vuole usare una tecnica basata su piccoli Rna per potenziare la chemioterapia
Il neuroblastoma colpisce soprattutto neonati e bambini al di sotto dei dieci anni e rappresenta la terza neoplasia più frequente in età pediatrica. Questo tumore, come suggerisce il nome, coinvolge sia i neuroni (neuro) sia le cellule immature in fase di sviluppo (blastoma), e ha origine da cellule nervose primitive presenti nell'embrione e nel feto chiamate neuroblasti. Nella fase di sviluppo embrionale, queste cellule ancora non completamente differenziate possono migrare e diffondersi in tutto l'organismo, così il tumore può svilupparsi in diverse aree del corpo.
Il neuroblastoma è caratterizzato da un’ampia variabilità clinica e da un decorso spesso infausto, perché i pazienti con la malattia in fase avanzata presentano recidive tumorali resistenti alla chemioterapia. Per questi motivi, la ricerca e lo studio di nuove terapie rimane un obiettivo di fondamentale importanza. Negli ultimi anni, una nuova strategia di attacco contro il cancro riguarda i microRna, piccoli frammenti di Rna con funzioni regolatorie, che vengono inseriti nelle cellule tumorali con lo scopo modulare l’attività di specifici geni.
Su questo filone di ricerca lavora Daniela Di Paolo, biologa dell’Istituto Gaslini di Genova, nell’ambito del progetto Gold for kids di Fondazione Umberto Veronesi a sostengo dell’oncologia pediatrica.
Daniela, raccontaci qualcosa in più sulla tua ricerca.
«Il neuroblastoma è caratterizzato da una notevole eterogeneità genetica, causata dall'interazione di diverse proteine che promuovono o sopprimono lo sviluppo di questo tumore. L’idea di fondo del mio progetto è di sfruttare il meccanismo dell’interferenza a Rna, usando i microRna per silenziare alcuni geni che promuovono lo sviluppo del tumore».
Puoi spiegarci che cos’è il meccanismo dell’interferenza a Rna?
«Non tutti i geni presenti nel nostro Dna contengono le istruzioni per produrre una proteina: alcuni di questi codificano invece per corte sequenze di Rna, i microRna, che servono per modulare l’espressione dei geni e controllare la produzione delle stesse proteine. Questi microRna, infatti, si legano all’RNA prodotto dai geni “classici” e impediscono che questo venga utilizzato per la sintesi proteica: un meccanismo chiamato “interferenza a Rna”, che è valso il Nobel per la Medicina a due ricercatori americani nel 2006. Nelle cellule di neuroblastoma sono stati trovati bassi livelli di specifici microRna in grado di bloccare l’attività dei geni pro-tumorali. Con il mio progetto punto a ripristinarne i livelli e introdurre nuovi frammenti di microRna che ne coadiuvino l’azione».
Come pensi di introdurre queste molecole nelle cellule tumorali?
«Le piccole molecole di Rna saranno incapsulate in vescicole lipidiche, chiamate liposomi, dotate di anticorpi in grado di legarsi alle cellule tumorali e rilasciare i microRNA direttamente nelle cellule di neuroblastoma».
Quali sono le possibili applicazioni per la cura dei pazienti?
«I lisosomi potranno essere utilizzati in combinazione con i farmaci chemioterapici tradizionali, per potenziarne l’efficacia e ridurne la tossicità».
Daniela, descrivici una tua giornata tipo in laboratorio.
«Al mattino, appena arrivata, saluto i colleghi e gli amici con cui da anni condivido gli spazi, ma soprattutto le emozioni dei successi e i malumori degli insuccessi: poi si inizia! Il ritmo della giornata è frenetico e scandito dalla tempistica degli esperimenti, sono loro che comandano, non noi!»
Ti è mai capitato di andare all’estero per fare ricerca?
«Nel 2013 sono stata tre mesi presso l’Istituto di Medicina Molecolare dell’Università di Newcastle in Inghilterra, per imparare la stesura dei protocolli sperimentali e l’allestimento delle preparazioni a base di lisosomi. Nonostante il breve periodo è stata una grande opportunità di crescita personale e professionale. Ho avuto la possibilità di conoscere, lavorare e confrontarmi con persone di varie nazionalità, e sono nate nuove amicizie che continuano ancora adesso, nonostante molti di noi siano rientrati nel proprio paese natale».
Cosa ti ha spinto sulla strada della ricerca?
«Sono sempre stata molto curiosa, ricordo che da bambina passavo interi pomeriggi a leggere l’enciclopedia “I mille perché”. Alle superiori ho frequentato il liceo scientifico a indirizzo sperimentale in chimica e biologia, e lì ho incontrato la mia insegnante di biologia che ha contribuito ad aumentare la mia passione per le materie scientifiche. La ricerca è stata una scelta naturale e quasi obbligata».
Cosa ti piace di più della ricerca?
«La possibilità di imparare e scoprire ogni giorno qualcosa di nuovo. Anche il risultato inatteso, negativo e insperato è un dato importante… un tassello del grande puzzle di cui tutti facciamo parte».
E cosa invece eviteresti volentieri?
«Le difficoltà per il reperimento dei fondi, la precarietà, i contratti a termine».
Daniela fuori dal laboratorio: hai qualche passione o hobby?
«Adoro cucinare e sperimentare nuovi piatti: dopo una lunga giornata in laboratorio i fornelli mi rilassano. Appena posso, mi piace anche andare a passeggiare in riva al mare o nei sentieri collinari, mentre durante il weekend mi occupo delle attività della piccola parrocchia dove sono cresciuta».
Un ricordo a te caro di quando eri bambina?
«I momenti passati con i miei amati nonni sono ricordi indelebili come il vuoto incolmabile che hanno lasciato. La mia famiglia mi ha sostenuto, supportato e sopportato fino a qui. Un vero esempio di coraggio, passione e onestà»