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Agnese Collino
pubblicato il 09-10-2017

La stimolazione elettrica contro il tumore al seno



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Attilio Marino punta a verificare se l’uso di nanoparticelle piezoelettriche, capaci di emettere un impulso elettrico se sollecitate, possano bloccare la crescita del tumore mammario

La stimolazione elettrica contro il tumore al seno

La medicina di oggi è sempre più il risultato degli sforzi congiunti di discipline scientifiche molto diverse. Uno degli ambiti più promettenti dal punto di vista dell’innovazione tecnologica in ambito medico è quello delle nanotecnologie, che apre una prospettiva nuova su materiali e fenomeni su scala nanometrica utilizzabili nello studio e nella cura di malattie come i tumori. Originario di Moncalieri, Attilio Marino lavora oggi al Center for Micro-BioRobotics dell'Istituto Italiano di Tecnologia a Pisa, grazie al progetto Pink is Good della Fondazione Umberto Veronesi. Nello specifico, il dott. Marino intende testare l’efficienza di un sistema nanotecnologico nel bloccare la proliferazione delle cellule del tumore al seno. Il suo approccio innovativo consiste nello sfruttare nanoparticelle piezoelettriche, in grado cioè di stimolare elettricamente la cellula quando vengono attivate da un impulso pressorio, come ad esempio gli ultrasuoni.

 

Attilio, ci daresti qualche dettaglio in più sul tuo studio?

«Già dal 2010 il laboratorio di cui faccio parte ha dimostrato le potenzialità delle nanoparticelle piezoelettriche nel contesto della terapia oncologica. In questo progetto voglio concentrarmi più specificamente sul trattamento del tumore del seno: le nanoparticelle verranno impiegate in concomitanza con gli ultrasuoni per verificare se l’esposizione (in modalità wireless) delle cellule cancerose a uno stimolo elettrico sia efficace nel diminuirne la proliferazione. Per favorire il legame tra le nanoparticelle e le cellule tumorali, il nanomateriale verrà rivestito in superficie con anticorpi specifici come il trastuzumab, comunemente impiegato per le terapie, che riconosce e si attacca alla proteina HER2, presente su alcuni tumori mammari».

 

In che modo quindi i risultati di questo studio potranno aiutare, in futuro, i pazienti oncologici?

«La stimolazione piezoelettrica a bassa intensità non viene inficiata dai meccanismi di resistenza ai farmaci messi in atto dalle cellule cancerose, e può così migliorare gli effetti chemioterapici del trastuzumab. Inoltre, la maggiore dimensione e complessità del sistema trastuzumab-nanoparticelle renderà più difficile la degradazione del farmaco da parte delle cellule tumorali, perpetuando così nel tempo gli effetti terapeutici del trastuzumab. Le peculiari ed eccellenti proprietà ottiche del nanomateriale adottato potranno anche essere sfruttate per visualizzare e monitorare il tumore. Infine questa piattaforma, anche se specifica per i tumori al seno, potrà rivelarsi estremamente utile se applicata nel trattamento di altri tumori».

 

Sei mai stato all’estero a fare un’esperienza di ricerca?

«Sì, sono stato per 6 mesi nei laboratori di biologia guidati dal professore Madoka Suzuki, presso la Waseda University a Singapore. Sono sempre stato attratto dall'accuratezza e dall'efficienza lavorativa orientale, e nel caso specifico ero motivato dalla competenza del gruppo di ricerca del professor Madoka. È stata una esperienza fantastica sia dal punto di vista professionale che da quello umano».

 

Cosa ti è rimasto di questa esperienza?

«Ho imparato ad essere maggiormente efficiente su lavoro. Mi è mancata la cordialità e la flessibilità italiana, ma penso di essere riuscito a trasmetterla in parte a molte delle persone con cui vivevo o lavoravo».

 

Cosa avresti fatto se non avessi fatto il ricercatore?

«L'odontotecnico, oppure l’istruttore di golf: una grande passione a cui mi dedico ancora nel mio tempo libero».

 

Qual è stato il momento in cui hai capito che la tua strada era quella della scienza?

«È stato il mio professore di fisica al liceo a trasmettermi l'amore per la scienza, grazie alla sua passione e simpatia. Ma è solo quando ho iniziato il tirocinio della laurea triennale che ho deciso che la ricerca sarebbe stata la mia vita, e ho abbandonato la possibile carriera di golfista».

 

Cosa ti piace di più della ricerca?

«La possibilità di approfondire fenomeni mai studiati e di ricercare soluzioni innovative ai problemi medico-scientifici è estremamente stimolate. Mi piacciono tutte le sfaccettature di questo lavoro, dalla progettazione dell'esperimento alla divulgazione dei risultati».

 

Ci sono figure che ti ha ispirato nella tua vita professionale?

«Tre giganti della scienza: Albert Einstein, Rita Levi-Montalcini e Kary Mullis, inventore della tecnica della Pcr (reazione a catena della polimerasi, ndr), che oggi viene utilizzata in tutti i laboratori e ospedali del mondo per analizzare il DNA e che gli è valsa il Nobel per la Chimica nel 1993».

 

Al di là dei contenuti scientifici, qual è la motivazione profonda che ti spinge a fare questo lavoro e che dà un significato alle tue giornate?

«Cercare di migliorare la qualità di vita del prossimo. Nel caso della ricerca dei tumori, il prossimo purtroppo è spesso un familiare, un amico o un’altra persona cara».

 

Cosa ne pensi dei complottisti e di chi è contrario alla scienza per motivi ideologici? Credi che stiano aumentando?

«Non credo che esista un diffuso sentimento antiscientifico in quanto tale. Il complottismo sembra riguardare non solo la sfera scientifica, ma anche quella storico-politica e sociale e ha radici molto antiche (basti pensare ai cristiani che secoli fa furono incolpati di avere incendiato Roma). Ovviamente la rivoluzione informatica e la comunicazione “social” sono state il vettore per la diffusione delle teorie complottistiche nel nuovo millennio. Umberto Eco, per esempio, sottolineava come i social diano il diritto di parola a legioni di imbecilli. Penso sia quindi cruciale usare gli stessi strumenti per sensibilizzare l'opinione pubblica sui temi importanti della scienza, attraverso campagne di informazione sui social con l'appoggio di testimonial nel campo della medicina, dello spettacolo, dello sport e così via».

 

Qual è il tuo film preferito?

«Ne ho due: “Matrix” e “Avatar”».

 

Con quale personaggio famoso ti piacerebbe andare a cena una sera e cosa ti piacerebbe chiedergli?

«Mi piacerebbe cenare con Fabiola Gianotti: le chiederei quali sono i suoi consigli per potenziare la ricerca scientifica nel nostro paese».


Agnese Collino
Agnese Collino

Biologa molecolare. Nata a Udine nel 1984. Laureata in Biologia Molecolare e Cellulare all'Università di Bologna, PhD in Oncologia Molecolare alla Scuola Europea di Medicina Molecolare (SEMM) di Milano, Master in Giornalismo e Comunicazione Istituzionale della Scienza all'Università di Ferrara. Ha lavorato nove anni nella ricerca sul cancro e dal 2013 si occupa di divulgazione scientifica


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