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Alessandro Vitale
pubblicato il 10-02-2020

Immunoterapia e neuroblastoma: l’importanza dei “checkpoint immunitari”



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Gennaro Bruno, ricercatore finanziato da Fondazione Veronesi, sta studiando come il neuroblastoma riesce a sfuggire al sistema immunitario. Una ricerca necessaria per individuare nuove strategie di cura basate sull'immunoterapia

Immunoterapia e neuroblastoma: l’importanza dei “checkpoint immunitari”

Oggi le opzioni terapeutiche per il neuroblastoma si basano su un approccio chirurgico preceduto o seguito da chemioterapia, ma l’immunoterapia rappresenta una strategia promettente anche per questa neoplasia. L'idea di fondo consiste nello sfruttare le nostre difese immunitarie con l'obiettivo di riconoscere ed eliminare le cellule cancerose, anche se esistono dei “punti di blocco” del sistema immunitario – chiamati “checkpoint immunitari” – che il tumore può sfruttare per silenziare la risposta immune e ridurre l’efficacia di questa tecnica.

Su questi temi si concentrerà il lavoro di Gennaro Bruno, biologo e ricercatore presso l’Ospedale Pediatrico Meyer di Firenze, che svilupperà il suo progetto grazie a una borsa di ricerca di Gold for Kids, il progetto di Fondazione Umberto Veronesi dedicato ai tumori infantili.


Gennaro, l’immunoterapia è una strategia di cui si sente parlare molto nella lotta ai tumori. Qual è il legame con il tuo progetto?

«L’immunoterapia è oggi una delle strategie terapeutiche maggiormente promettenti in diversi tipi di tumori. In alcuni pazienti, tuttavia, le terapie esistenti non risultano efficaci a causa della comparsa di meccanismi che permettono l’evasione del tumore dal sistema immunitario del paziente. Comprendere i meccanismi molecolari che regolano l’espressione e il funzionamento dei sistemi di blocco del sistema immunitario, i checkpoint immunitari, rappresenta quindi un’importante sfida della ricerca scientifica nella lotta contro il cancro».

Su quali aspetti si concentrerà il tuo lavoro?

«Il progetto si focalizza sullo studio del recettore β3-adrenergico e della sfingosina 1-fosfato. II recettore β3-adrenergico è una proteina implicata in diversi processi che sostengono lo sviluppo del tumore, e i dati preliminari in nostro possesso suggeriscono che esista una relazione tra queste due molecole nella regolazione dei checkpoint immunitari nel neuroblastoma. L’obiettivo del progetto sarà studiare questi processi all’interno delle diverse cellule della massa tumorale, che possono presentare una certa eterogeneità».

Quali sono le prospettive a lungo termine di questa ricerca?

«Comprendere i meccanismi molecolari che regolano l’espressione e il funzionamento dei checkpoint immunitari rappresenta un’importante sfida nella lotta contro il cancro. Queste nuove scoperte, infatti, potrebbero rivelare come alcune neoplasie resistono all’immunoterapia e aiutare lo sviluppo questa strategia terapeutica emergente, a tutto vantaggio dei pazienti».

Gennaro, hai una routine o una giornata tipo in laboratorio?

«La mattina, appena arrivato, apro il mio quaderno di laboratorio per controllare tutte le attività pianificate. Dopo aver organizzato tutto al meglio, inizio con i vari esperimenti che possono durare alcune ore o anche tutto il giorno. Nel tempo che rimane annoto le procedure seguite e mi aggiorno leggendo articoli scientifici».

Mai stato all’estero per lavoro?

«Ho trascorso 8 mesi del mio Dottorato di ricerca presso la Goethe University in Germania. Un’esperienza positiva di crescita professionale ma anche personale, che mi ha permesso di ampliare la mia visione della ricerca scientifica e del lavoro di laboratorio. Certo, mi sono mancati gli affetti delle persone care in Italia, ma penso che fare un’esperienza lavorativa all’estero rappresenti un’importante occasione».

Ricordi quando hai scelto di diventare un ricercatore?

«Durante i miei studi al liceo sono rimasto affascinato dai meccanismi che permettono ai batteri di trasferire materiale genetico tra di loro, una scoperta decisiva per capire come si forma la resistenza agli antibiotici. Ho deciso allora di provare a intraprendere la strada della ricerca».

Cosa ti piace di più della ricerca?

«L’imprevedibilità delle piccole scoperte quotidiane, il fatto che ogni giorno è diverso da quello precedente, con piccoli successi, sfide da affrontare, ma anche insuccessi dai quali imparare ad andare avanti».

E cosa invece eviteresti volentieri?

«L’incertezza economica e l’instabilità».

Hai qualche episodio particolare che ti è capitato durante il tuo lavoro?

«Un episodio molto toccante è stata la visita in laboratorio di alcuni genitori che hanno perso il loro figlio a causa di un tumore e che sostengono attivamente la nostra ricerca».

Hai qualcuno che ti ha ispirato nel tuo percorso?

«I miei genitori. Mi hanno insegnato come fare il proprio lavoro con onestà e dedizione».

Cosa avresti fatto se non avessi fatto il ricercatore?

«A volte ho cercato di rispondere a questa domanda. Non ci riesco, forse perché quello che faccio è l’unica cosa che mi piace fare nella vita».

In cosa, secondo te, potrebbero migliorare la scienza e la comunità scientifica?

«La comunità scientifica potrebbe migliorare se ci fosse un maggiore scambio d’idee. Penso ci debba essere meno competizione, ma piuttosto collaborazione tra i gruppi di ricerca che hanno gli stessi obiettivi di studio, soprattutto con un approccio di tipo multidisciplinare».

Pensi che ci sia un sentimento antiscientifico in Italia?

«Penso che a volte la scienza sia un po’ lontana dalle persone che non frequentano ambienti scientifici, e questo può provocare una mancata conoscenza dei fatti. Non credo però che esista un sentimento antiscientifico a priori in Italia, anzi, percepisco fiducia attorno alla figura del ricercatore».

Chi è Gennaro nel tempo libero?

«Mi piace molto cucinare, suonare la chitarra e ascoltare musica».

Sogni nel cassetto?

«Andare in Africa».

Hai un film che ti rappresenta?

«“La vita è bella” di Benigni, una sintesi della bellezza della vita e allo stesso tempo della fragilità umana».

Prima di salutarci, c’è qualcosa che vorresti dire alle persone che scelgono di donare a sostegno della ricerca?

«Sappiate che donare per sostenere la ricerca scientifica è come piantare un piccolo seme di un albero da frutto. Ci vorrà tanto tempo, ma arriverà il giorno in cui qualcuno potrà raccogliere i frutti del nostro lavoro».


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