Il tumore al polmone è la principale causa di morte per malattia oncologica, e non tutti casi sono collegati al fumo di sigaretta: Elisa Frullanti cerca di capirne le cause genetiche
Il tumore al polmone è la prima causa di morte per tumore al mondo. Il 90% delle neoplasie è causato dal fumo di sigaretta, che è da solo responsabile di circa il 16% di tutti i tumori nel mondo: non soltanto al polmone, ma anche alla lingua, al cavo orale, alla faringe, alla laringe, alla vescica, al seno, oltre a diverse forme di leucemie. Ogni sigaretta infatti contiene oltre quattromila sostanze chimiche, di cui quaranta cancerogene. Se quindi la maggior parte dei tumori al polmone viene diagnosticato nei fumatori, non tutti i fumatori lo sviluppano. Inoltre, il 10% dei tumori al polmone avviene in persone che non hanno mai fumato (solo in Italia accade a 4.000 persone ogni anno). Perché alcune persone, pur non fumando, sviluppano tumore polmonare in giovane età? A questa domanda vuole trovare una risposta la ricerca di Elisa Frullanti, biologa senese che lavora all’Università degli Studi di Siena. Nella sua città natale Elisa è tornata dopo diversi anni di studio e ricerca nei più importanti istituti di ricerca di Milano, come l’Ospedale Maggiore - Policlinico IRCCS Regina Elena e l’Istituto Nazionale dei Tumori, dove si è sempre occupata di suscettibilità genetica al tumore al polmone.
Elisa, in cosa consiste nei dettagli il tuo progetto di ricerca?
«Lo scopo della mia ricerca è identificare le combinazioni genetiche che predispongono un individuo a sviluppare tumore al polmone in giovane età, in assenza del principale fattore di rischio: il fumo di sigaretta. Per fare questo, vogliamo sequenziare il Dna di pazienti non fumatori affetti da tumore al polmone e dei rispettivi fratelli o sorelle sani, per quanti e quali geni siano coinvolti nello sviluppo del tumore».
Avete già ottenuto qualche risultato?
«Abbiamo ottenuto alcuni dati preliminari su due coppie di pazienti e rispettivi fratelli o sorelle sani, che hanno dimostrato come l’insorgenza del tumore sia influenzato da più geni alterati nel paziente rispetto al fratello sano e che sono diversi da paziente a paziente. Abbiamo pubblicato questi dati l’anno scorso sulla rivista scientifica Lung Cancer. Servono ulteriori studi e verifiche, ma la strada sembra promettente, e il finanziamento di Fondazione Veronesi mi permetterà di analizzare un maggior numero di coppie».
Quali sono le possibili ricadute future della tua ricerca per la cura del polmone?
«Questo studio è un passo importante per lo sviluppo di test diagnostici più efficaci e per mettere a punto farmaci paziente-specifici capaci di colpire il bersaglio molecolare più adeguato o ristabilire il corretto assetto genetico, migliorando le cure per il cancro al polmone, attualmente ancora uno dei tumori più difficili da trattare».
Cosa fa Elisa quando non è il laboratorio?
«Cerco di passare il poco tempo libero che mi rimane con mia figlia, che ha due anni. L’altra mia grande passione è la musica: suono il flauto traverso da quando avevo dieci anni».
Ricordi il momento in cui hai capito che la tua strada era quella della scienza?
«Dovevo avere 12-14 anni e ricordo di aver detto a mia mamma -e lei me lo ricorda spesso- che volevo fare la ricercatrice : all’epoca immaginavo di andare a letto la sera con un problema scientifico da risolvere e svegliarmi la mattina con in testa la chiave giusta e l’esperimento adatto».
Un momento della tua vita professionale che vorresti incorniciare e uno invece da dimenticare
«Uno dei momenti più belli è stato ricevere il Premio Galilei Giovani Young Research Scientist nel 2011 e sentire parlare davanti ad una platea di scienziati di me e del mio lavoro. Non mi sembrava vero!».
Come ti vedi fra dieci anni?
«Ancora con un lavoro precario, ma felice di fare quello che amo e che ho sempre sognato».
Cosa ti piace di più della ricerca?
«La possibilità di cercare soluzioni ai grandi problemi della salute dell’uomo affrontandoli con i mezzi del metodo scientifico. Ogni giorno ti riserva una sorpresa….L’importante è andare a cercarla e farne parte!».
E cosa invece eviteresti volentieri?
«La precarietà lavorativa. Oggi che ho una figlia è sicuramente la parte dolente da affrontare nella ricerca italiana».
Se ti dico scienza e ricerca, cosa ti viene in mente?
«La mia vita».
Qual è la figura che ha influenzato la tua vita professionale?
«Rita Levi Montalcini, una donna che ha letteralmente speso la sua vita per la scienza, una dedizione totale accostata anche a una grande umiltà. La sua curiosità, il suo amore incondizionato per la scienza e allo stesso tempo i limiti pratici in cui spesso si è trovata a combattere sono un esempio fondamentale per tutti i ricercatori».
Se dovessi scommettere sui filoni di ricerca biomedica più promettenti per i prossimi cinquant'anni?
«Nell’ambito della diagnosi precoce, sicuramente le nuove tecnologie di sequenziamento massiccio dei genomi che permetteranno di raggiungere la medicina preventiva personalizzata. Nell’ambito della terapia credo molto alla medicina rigenerativa con l’uso delle cellule staminali pluripotenti indotte per la cura di numerose malattie, dal cancro al diabete».
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Chiara Segré
Chiara Segré è biologa e dottore di ricerca in oncologia molecolare, con un master in giornalismo e comunicazione della scienza. Ha lavorato otto anni nella ricerca sul cancro e dal 2010 si occupa di divulgazione scientifica. Attualmente è Responsabile della Supervisione Scientifica della Fondazione Umberto Veronesi, oltre che scrittrice di libri per bambini e ragazzi.