Alcuni linfomi non sono sensibili a farmaci che bloccano l’enzima EHZ2, spesso alterato in queste neoplasie: la biologa Valentina Petrocelli ne studia le basi genetiche e molecolari
Valentina Petrocelli, 29 anni, biologa lucana in forze all’Istituto FIRC di Oncologia Molecolare di Milano, fa parte dei 194 ricercatori post-dottorato sostenuti nel 2017 dalla Fondazione Umberto Veronesi. Nel laboratorio diretto da Stefano Casola, si studiano i linfomi, tumori ematologici a carico di alcune cellule del sistema immunitario. Grazie alla ricerca scientifica, la sopravvivenza per queste neoplasie è aumentata del trenta per cento dal 1970 ad oggi, ma permangono ancora diverse sfide per i medici e i ricercatori, come Valentina, che si occupano di queste malattie.
Valentina, raccontaci nei dettagli il tuo progetto di ricerca.
«Nel mio laboratorio studiamo il codice molecolare che regola la biologia dei linfomi, in particolare il linfoma di Burkitt, che deriva dai linfociti B, cellule specializzate nella produzione di anticorpi specifici contro i patogeni. Questa regolazione avviene a livello del Dna, il manuale di istruzioni di ogni cellula. Il Dna si trova avvolto come un filo sui rocchetti, introno ad alcune proteine chiamate istoni. Il grado di avvolgimento e svolgimento di porzioni di Dna accende o spegne specifiche funzioni della cellula, tra cui la proliferazione che nei linfomi è anomala ed eccessiva. Questo processo è regolato da enzimi, come EZH2, oggetto del mio studio. Alterazioni nei livelli e nell’attività di EZH2 sono ricorrenti in diversi tipi di tumori, inclusi i linfomi derivanti dai linfociti B. Da queste osservazioni sono stati sviluppati farmaci che bloccano EZH2, al momento in fase di sperimentazione clinica. Tuttavia, i nostri studi hanno dimostrato che non tutti i linfomi sono sensibili a questi farmaci; alcuni di essi crescono ugualmente anche se l’attività di EZH2 viene bloccata. Decifrare le differenze tra questi due sottogruppi di tumori è il nostro obiettivo finale, in modo da identificare una firma molecolare che permetta di predire in anticipo la loro risposta ai farmaci contro EZH2».
Quali prospettive apre il tuo progetto per la salute umana?
«Si tratta di ricerche di base non ancora approdate alla clinica, ma i risultati sono molto incoraggianti. Alcuni di essi sono stati pubblicati in giugno su Nature, una delle riviste scientifiche internazionali più prestigiose al mondo. Comprendere i meccanismi molecolari e genetici che regolano lo sviluppo dei tumori, e nel mio caso dei linfomi, è requisito essenziale per sviluppare e mettere in campo strategie terapeutiche più mirate e ragionate a priori. Nel nostro caso specifico, stratificare i pazienti affetti da linfoma in sensibili e non ai farmaci contro EZH2 permetterà di valutare l’idoneità o meno di una terapia prima di somministrala, salvando tempo prezioso ed evitando terapie che si rivelerebbero poco efficaci ma con effetti collaterali».
Ricordi il momento in cui hai capito che la tua strada era quella della scienza?
«Alle scuole medie ho conosciuto una responsabile di un laboratorio in un’azienda farmaceutica, la quale ha suscitato in me un tale interesse per il suo lavoro da influenzare tutte le mie scelte scolastiche: prima il liceo scientifico e poi gli studi universitari in Biologia. Dal momento in cui ho iniziato la tesi in laboratorio ho avuto la conferma di aver fatto la scelta giusta per soddisfare la mia passione e il mio interesse per la ricerca».
Un momento della tua vita professionale che vorresti incorniciare e uno invece da dimenticare.
«Un momento da incorniciare è stata la selezione al Congresso Europeo di Immunologia nella sessione dedicata ai giovani più talentuosi del settore. In soli 24 ricercatori abbiamo partecipato a una cena di gala con i più grandi esperti di immunologia, interessati a discutere i nostri progetti di ricerca. Da dimenticare la prima risposta negativa a una richiesta di finanziamento. Da quel momento però ho avuto piena consapevolezza di tutte le difficoltà legate al mondo della ricerca».
Dove ti vedi fra dieci anni?
«Difficile dirlo. In ogni caso mi piacerebbe continuare a lavorare nella scienza».
Cosa ti piace di più della ricerca?
«La libertà intellettuale di poter sviluppare un’ipotesi scientifica e le sorprese continue del mio lavoro. Un giorno trascorso in laboratorio non è mai uguale al precedente».
E cosa invece eviteresti volentieri?
«L’ansia legata al dover conquistare finanziamenti anno per anno».
Se ti dico scienza e ricerca, cosa ti viene in mente?
«Curiosità di capire processi che regolano la vita, in tutte le sue forme ed espressioni».
Parliamo della Valentina fuori dal laboratorio: quali sono le tue passioni?
«Amo i viaggi, le mostre d’arte e i concerti».
Un viaggio che vorresti fare almeno una volta nella vita.
«Il Gran Canyon, negli Stati Uniti».
E per concludere, se potessi scegliere una persona con cui andare a cena, chi sarebbe e perché?
«Mi piacerebbe andare a cena con un politico italiano di spicco, per fargli capire che la scuola e la ricerca hanno bisogno di sostegno».
Chiara Segré
Chiara Segré è biologa e dottore di ricerca in oncologia molecolare, con un master in giornalismo e comunicazione della scienza. Ha lavorato otto anni nella ricerca sul cancro e dal 2010 si occupa di divulgazione scientifica. Attualmente è Responsabile della Supervisione Scientifica della Fondazione Umberto Veronesi, oltre che scrittrice di libri per bambini e ragazzi.