Progettare un’unica molecola con duplice funzione inibitoria nei tumori più aggressivi: l’obiettivo della ricerca di Cristina Maracci
Le cellule tumorali sono caratterizzate da un tratto comune: la capacità di proliferare in maniera incontrollata. Questa caratteristica determina un aumento della sintesi proteica, un processo finemente controllato da un grande numero di molecole tra cui i cosiddetti fattori di traduzione. Tra questi, i fattori eIF4E e eIF5A hanno un ruolo chiave rispettivamente per l’inizio della sintesi e per il successivo assemblaggio delle proteine. Entrambe le molecole sembrano essere più abbondanti in tumori aggressivi per il quale non esiste ancora una terapia mirata, come il tumore al seno triplo negativo, e per questo sono ottimi candidati per lo sviluppo di farmaci specifici.
Cristina Maracci è ricercatrice presso l’Università Politecnica delle Marche e il suo lavoro si concentra sulla selezione e la sintesi di nuovi farmaci inibitori di eIF4E e eIF5A, combinando tecniche computazionali e di biologia molecolare. Lo scopo della ricerca è sviluppare un nuovo farmaco antitumorale che inibisca contemporaneamente entrambi i fattori traduzionali, consentendo di ridurre la dose efficace e di contrastare l’insorgere di farmacoresistenza. Il suo progetto sarà sostenuto per il 2022 da una borsa di ricerca di Fondazione Umberto Veronesi nell’ambito del progetto Pink is Good.
Cristina, come nasce il vostro lavoro?
«L’idea nasce dalla necessità di creare farmaci antitumorali con bassa propensione allo sviluppo di meccanismi di resistenza. Abbiamo scelto questa linea di ricerca perché abbiamo la possibilità di combinare tecniche computazionali per il design di nuovi farmaci a tecniche di biologia molecolare e cellulare per poi testare i nuovi composti».
Quali le vostre domande di ricerca?
«Sappiamo bene che il processo di sintesi proteica è largamente deregolato nel cancro al seno, ma purtroppo non sono ancora noti i meccanismi di attivazione di alcuni fattori proteici. Noi vogliamo comprendere la regolazione dei fattori di traduzione eIF4E ed eIF5A, e usarli come bersagli per terapie mirate».
Come intendete portare avanti il vostro progetto?
«Durante questo anno sintetizzeremo dei composti che verranno poi testati individualmente per le loro capacità antitumorali in linee cellulari di cancro al seno triplo negativo, una delle forme più aggressive di cancro. Accanto allo screening computazionale che ci permetterà di selezionare i composti più promettenti, verificheremo le capacità antiproliferative dei nuovi composti e la loro capacità di interferire con i rispettivi bersagli. Dai singoli composti migliori, proveremo a sviluppare una molecola che unisca due inibitori specifici di eIF4E ed eIF5A, così da creare un composto coniugato che agisca contemporaneamente su due fronti. Questa strategia permetterebbe di ridurre notevolmente la dose efficace e di contrastare l’insorgere di farmacoresistenza».
Quali sono le prospettive per la salute umana?
«Il nostro lavoro permetterà lo sviluppo di farmaci sperimentali che avranno un elevato valore preclinico».
Sei mai stata all’estero per un’esperienza di ricerca?
«Sì, sono stata otto anni al Max Planck Institute for Biophysical Chemistry di Goettingen, in Germania. Ho sempre desiderato imparare nuove tecniche e viaggiare per laboratori è il modo più efficace».
Ti è mancata l’Italia?
«No, mai. Mi sono trovata bene con i colleghi e ho fatto amicizie importanti. Ho imparato tante cose, tra cui lavorare in maniera indipendente».
Ricordi il momento in cui hai capito che la tua strada era quella della scienza?
«Da quando mi hanno regalato il microscopio a otto anni non ho mai smesso di studiare la natura e fare piccoli esperimenti con le cose che avevo in casa».
Cristina, c’è un momento della tua vita professionale che vorresti incorniciare e uno invece da dimenticare?
«Il momento più bello è stato quando ho pubblicato il mio primo articolo a primo nome: un traguardo importante. Purtroppo la competizione tra colleghi è un problema importante nella ricerca. Una volta sono stata vittima di “stalking” da parte di un collega invidioso».
Dove ti vedi fra dieci anni?
«Dove non lo so, ma mi vedo ancora in camice bianco e con le pipette in mano». Cosa ti piace di più della ricerca? «Il fatto che non si facciano mai le stesse cose. È un ambiente estremamente stimolante». E cosa invece eviteresti volentieri? «Vorrei che si facesse un po’ di “pulizia” nell’ambito delle pubblicazioni scientifiche. Ci sono troppe riviste di basso valore che attirano pubblicazioni, promettendo un processo semplice di peer reviewing».
Se ti dico scienza e ricerca, cosa ti viene in mente?
«Speranza e futuro».
C’è una figura che ti ha ispirato nella tua vita professionale?
«Piero Angela. Sono cresciuta guardando i suoi programmi: ero e sono ancora affascinata dalla sua passione per la scienza».
Qual è il messaggio più importante che ti ha lasciato?
«L’importanza di mantenere viva la curiosità».
Al di là dei contenuti scientifici, qual è per te il senso che dà un significato profondo alle tue giornate lavorative?
«Fare ricerca mi spinge ad allargare gli orizzonti della mia mente».
Cosa fai nel tempo libero? Hai qualche hobby?
«Sono mamma di due bambini. Tra qualche anno avrò tempo di cercarmi un hobby».
Se un giorno uno dei tuoi figli ti dicesse che vuole fare il ricercatore, come reagiresti?
«Sarei molto fiera della sua decisione, ma lo aiuterei a sviluppare un po’ di resilienza: nel mondo della ricerca bisogna essere pronti a sentirsi dire “no” molte volte».
Quando è stata l’ultima volta che ti sei commossa?
«Ho pianto di gioia il giorno in cui mi hanno comunicato di aver ricevuto la borsa Umberto Veronesi per la seconda volta, perché ero un po’ sfiduciata». Una cosa che vorresti assolutamente almeno una volta nella vita? «Vorrei girare il Canada con lo zaino in spalla».
Qual è la cosa di cui hai più paura?
«Ho paura di perdere quello che ho costruito negli anni per colpa di una malattia. Mio marito ha avuto il cancro alla tiroide e questa esperienza ha cambiato completamente il nostro modo di affrontare la vita e le difficoltà quotidiane».
La cosa che più ti fa arrabbiare?
«Mi arrabbio come una matta quando qualcuno difende le sue opinioni alzando la voce, senza argomentare le sue ragioni».
Quella che ti fa ridere a crepapelle?
«Guardare i miei figli che giocano con la nostra micia».
Sei felice della tua vita?
«Immensamente».
Un ricordo a te caro di quando eri bambina?
«Quando mio nonno, che era un venditore ambulante, veniva a casa nostra con il furgoncino e mi faceva scegliere le merendine che aveva nel bagagliaio».
Una “pazzia” che hai fatto?
«Buttarmi col paracadute per festeggiare la fine del dottorato, ovviamente accompagnata dall’istruttore».
Cosa vorresti dire alle persone che scelgono di donare a sostegno della ricerca scientifica?
«La ricerca è l’unica strada verso un futuro più sostenibile. Chi dona alla ricerca scientifica fa un investimento a rendimento sicuro: la conoscenza e la speranza di una cura per una malattia ancora incurabile sono impagabili».
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