I disturbi dello spettro autistico sono purtroppo in aumento: l’obiettivo di Giovanni Provenzano è comprendere quali geni sono coinvolti, per cercare nuove possibilità di cura
I disturbi dello spettro autistico (DSA) sono tra i disturbi neurologici più invalidanti e comuni nei bambini. Si tratta di una categoria eterogenea di condizioni che incidono principalmente sulla sfera della comunicazione, dell’interazione sociale e del comportamento. In Italia le diagnosi di autismo sono circa centomila tra bambini e adolescenti: è colpito un bambino ogni 100. Negli ultimi vent’anni, il numero di pazienti affetti da Dsa è aumentato drammaticamente e, a oggi, sono disponibili trattamenti di scarsa efficacia. È necessario quindi aumentare le conoscenze in ambito molecolare, per sviluppare terapie farmacologiche mirate ed efficaci. Le evidenze oggi disponibili suggeriscono che nei Dsa suscettibilità genetica e fattori ambientali contribuiscano insieme ad alterare il normale sviluppo del cervello. Tuttavia aggiungere nuove informazioni a questo quadro così complesso non è facile, a causa della limitata disponibilità di tessuti cerebrali di pazienti. I modelli animali si sono rivelati una valida alternativa per poter comprendere meglio la neurobiologia dei Dsa: il biologo cosentino Giovanni Provenzano (nella foto), sostenuto dalla Fondazione Umberto Veronesi presso il Centro di ricerca di biologia integrata (Cibio) dell’Università degli studi di Trento, lavora su due modelli murini di autismo per individuare nuovi potenziali target farmacologici nella terapia dei Dsa.
Giovanni, di cosa ti occupi nel dettaglio?
«Il principale obiettivo dello studio sarà sviluppare nuovi approcci terapeutici, sfruttando modelli murini che riproducono alcuni degli aspetti neurobiologici dei Dsa. La rivoluzione che sta avvenendo nella genetica dei Dsa ha portato all’identificazione di centinaia di geni che contribuiscono al rischio di autismo nella popolazione generale. Un modo possibile per districarsi in questa serie di geni e di risultati eterogenei è quello di identificare le vie molecolari comuni o convergenti, a cui afferiscano i diversi geni. Nel nostro caso, l'identificazione e la valutazione di nuove terapie trarrà vantaggio dai promettenti risultati che abbiamo ottenuto dalla ricerca svolta in precedenza, grazie al sostegno della Fondazione Umberto Veronesi fin dal 2015. Siamo infatti riusciti ad identificare, nell’ippocampo di due differenti modelli di topi affetti da autismo, una regolazione anomala di gruppi convergenti di geni coinvolti nell'infiammazione. L’analisi dell’espressione dei geni verrà estesa anche ad altre regioni del Dna potenzialmente coinvolte nella genesi dei Dsa, e le vie genetiche e metaboliche che emergeranno verranno usate per generare, tramite approcci computazionali che combinano genomica e farmacologia, nuove potenziali strategie terapeutiche. L’efficacia delle terapie verrà valutata e validata tramite esperimenti in vivo rivolti a dimostrare se i trattamenti farmacologici possano migliorare i deficit comportamentali nei due modelli murini di autismo che simulano la patologia nell’uomo».
Quali saranno le possibili ricadute, anche a lungo termine, sulla salute umana?
«Lo sviluppo di nuove strategie terapeutiche utili nella cura dei Dsa, a partire dall’identificazione di pattern comuni di espressione genica, è una sfida importante. La mia speranza è che questa ricerca possa contribuire allo sviluppo di trattamenti farmacologici efficaci che possano essere poi comprovati nell’uomo».
Sei mai stato all’estero a fare un’esperienza di ricerca?
«Sì, ho trascorso parte del mio dottorato di ricerca all’Institut du Cerveau et de la Moelle presso l’ospedale Pitié-Salpêtrière a Parigi. Una bella opportunità, che mi ha permesso di conoscere e lavorare con ricercatori affermati nel campo della genetica delle epilessie. Le esperienze all’estero sono fondamentali, non solo per ampliare gli orizzonti scientifici e magari creare un network internazionale, ma anche per confrontarsi con culture differenti, mettersi di continuo alla prova e essere capaci di fronteggiare da soli le più svariate problematiche».
Perché hai scelto di intraprendere la strada della ricerca?
«La complessità del cervello umano mi ha sempre affascinato. Aver avuto, durante la mia infanzia, persone a me care affette da Alzheimer o da decadimento cognitivo ha sicuramente influenzato la mia sensibilità, e stimolato una certa curiosità nel cercare di capire i meccanismi biologici che sono alla base delle malattie del cervello».
Se ti dico scienza e ricerca, cosa ti viene in mente?
«La scienza è ricercare la verità o in termini più pratici provare a trovare una soluzione ad un dato problema. Raramente questi problemi sono di facile e rapida risoluzione. Il fare ricerca insegna appunto a non arrendersi, a essere tenaci, a sviluppare un grande senso critico e a riconoscere i propri errori».
Cosa avresti fatto se non avessi fatto il ricercatore?
«L’enologo: mi ha sempre appassionato il processo che trasforma materia viva come l’uva in una delle bevande più incredibili al mondo».
Hai famiglia?
«Sì, sono sposato e ho una bimba di pochi mesi».
Se un giorno tua figlia ti dicesse che vuole fare la ricercatrice, come reagiresti?
«Non mi meraviglierebbe, considerando che anche mia moglie Valentina lavora in questo settore. Significherebbe che, nonostante tutti i problemi correlati alla ricerca, saremmo riusciti a trasmetterle questa passione».
Cosa fai nel tempo libero?
«Mi piace molto viaggiare, leggere, uscire la sera e conoscere nuova gente, in modo da condividere con altri esperienze e punti di vista. Inoltre amo ascoltare musica di vario tipo: spazio dall’heavy metal alla classica. Fino a poco tempo fa ho fatto anche attività di volontariato in diverse associazioni, ma per questioni di lavoro e famiglia nell’ultimo anno ho totalmente messo da parte questo impegno: spero di ricominciare presto».
Il libro che più ti piace?
«Il Piccolo Principe di Antoine de Saint-Exupéry. Un libro che quasi tutti hanno letto nella loro infanzia ma che sarebbe necessario rileggere anche in età adulta, perché con semplicità e poesia ci fa riflettere sui sentimenti e le cose che realmente contano nella vita».
Una “pazzia” che hai fatto.
«In gioventù ne ho combinate parecchie di pazzie, dettate soprattutto dall’incoscienza. Una pazzia che però ricordo positivamente è l’essermi inserito in modo forse un po’ azzardato in un viaggio di sole ragazze per conquistare e passare un po’ di tempo con la donna che sarebbe diventata mia moglie…».
Con quale personaggio famoso ti piacerebbe andare a cena una sera?
«Mi sarebbe piaciuto cenare con Umberto Veronesi, una persona che ho sempre stimato non solo scientificamente ma anche per il suo impegno politico e sociale, per tutte le battaglie che ha condotto per la laicità e i diritti civili. Considerando la sua storia, mi viene da pensare che un impegno diretto dei ricercatori nell’ambito politico e sociale sia sempre più necessario, per rilanciare e promuovere la cultura scientifica in Italia».
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