Il dolore nel travaglio di parto dipende da molteplici fattori. Diverse le opportunità per contenerlo: dall'analgesia epidurale a quella non farmacologica. I consigli dell'esperto
Il dolore nel travaglio di parto è un fenomeno soggettivo che dipende da molteplici fattori. La reazione può essere influenzata dall’ambiente ed è dimostrato che la presenza durante il travaglio di una persona di sostegno che fornisca ascolto, rassicurazioni o aiuto, può ridurre le richieste di trattamenti antidolorifici. Il dolore durante il travaglio può essere alleviato con diversi metodi: naturali o farmacologici. Vediamo quali, con la collaborazione di Gaetano Draisci, direttore dell'unità operativa complessa di anestesia in ostetricia, ginecologia e terapia del dolore 2 del policlinico Gemelli di Roma.
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L'ANESTESIA EPIDURALE
La soluzione più affidabile e richiesta è l'anestesia epidurale, che consente di eliminare il dolore del travaglio e del parto, lasciando però inalterati il tono muscolare e la capacità di spinta nella fase espulsiva. Questo permette alla donna di partecipare pienamente al parto, controllando il dolore. Il posizionamento del cateterino epidurale non è doloroso, poichè viene eseguito dopo un’anestesia locale nella regione lombare. Eppure l'analgesia epidurale, pur essendo efficace e sicura, in Italia non è ancora diffusa quanto dovrebbe. La problematica principale è legata all'organizzazione dei servizi di partoanalgesia che non sono presenti in tutti gli ospedali, nonostante siano passati cinque anni dall'inserimento nei Livelli Essenziali di Assistenza (Lea), ovvero quel pacchetto di prestazioni sanitarie che lo Stato deve essere in grado di garantire su tutto il territorio nazionale. Per offrire il servizio in maniera capillare, occorre uno staff di anestesisti che si occupi esclusivamente della sala parto. Spesso questo non accade in molti punti nascita più piccoli, dove nel migliore dei casi si ricorre alla chiamata dell'anestesista reperibile. Tutto ciò determina un sovraccarico dell'utenza nei punti nascita che offrono la partoanalgesia, a cui molte donne si rivolgono nel momento in cui scoprono di non potersi avvalere di tale possibilità nell'ospedale di provenienza.
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COME CHIEDERE L'EPIDURALE?
La richiesta, spiega Draisci, deve giungere «nel primo colloquio con l'anestesista che si effettua intorno alla 35esima settimana di gravidanza, in cui viene eseguita una valutazione dello stato di salute della donna, vengono illustrate le tecniche di analgesia del travaglio e acquisito il consenso informato». Tale consenso costituisce un prerequisito alla procedura ed è revocabile in ogni momento. Non si può partorire ricorrendo all'analgesia epidurale se «si hanno malattie emorragiche, se si assumono anticoagulanti e non è passato sufficiente tempo dalla loro ultima somministrazione, se ci sono infezioni sistemiche o cutanee nel sito di iniezione». Possibili effetti collaterali? Si va dal prurito durante il travaglio al lieve indolenzimento della schiena.Tra le complicanze va segnalata inoltre la possibile insorgenza di «cefalea post-puntura durale, che colpisce circa una donna su 150 e richiede un prolungamento del ricovero ospedaliero». Sono descritti rarissimi casi di complicanze neurologiche. Uno dei vantaggi del posizionamento del cateterino epidurale è quello di consentire una rapida conversione all'anestesia per un'eventuale parto cesareo, evitando l'anestesia generale. Come? Iniettando, nello stesso tubicino dell'epidurale, un anestetico locale più forte o altri farmaci antidolorifici, così da ottenere un’anestesia adeguata. Tutto ciò in cinque minuti e in piena sicurezza: tanto per la donna quanto per il feto.
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LE ALTERNATIVE FARMACOLOGICHE
All'anestesia per via endovenosa si ricorre ogni qual volta in cui in una donna risulti controindicata l'epidurale. In questo caso «vengono somministrati dei farmaci oppiodi, a dosaggi comunque sicuri per il feto - prosegue Draisci -. Una simile scelta comporta però un'efficacia inferiore rispetto all'epidurale, che si rileva anche quando si ricorre all'anestesia con protossido d'azoto per via inalatoria. L'uso di oppioidi, oltre a comportare un limitato effetto analgesico, può determinare depressione respiratoria, ipotensione, nausea e sonnolenza. In più la donna, durante il parto, non è pienamente vigile: cosa che le impedisce di realizzare appieno la nascita del proprio figlio». Per tutti questi motivi, oltre che per le ridotte controindicazioni, l'analgesia epidurale viene dunque considerata lo standard più affidabile per gestire il dolore del travaglio.
PARTORIRE SENZA ANESTESIA
Partorire senza ricorrere ai farmaci è possibile? «Ci sono donne che ci riescono senza problemi: non si può dire che non avvertano dolore, piuttosto lo sopportano - prosegue l'esperto -. Ci riescono meglio le donne multipare, che hanno già alle spalle uno o più parti. Per loro i successivi travagli sono più brevi, dunque meno dolorosi. L'analgesia epidurale è consigliata sopratutto per i primi parti e può essere ripetuta in caso di successive gravidanze». Il parto in acqua, tra le metodiche naturali di analgesia, è una delle più efficaci. Anche il ricorso a tecniche di respirazione assistita, con la guida di un'ostetrica, può favorire le contrazioni e quindi la dilatazione, con il rilascio di endorfine in grado di placare il dolore. Gli esperti non consigliano una posizione specifica per gestire il dolore da parto, al punto da lasciare la scelta alle donne, che in molti casi preferiscono la posizione seduta a quella ginecologica.
Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).