Perplessità sulla metodica a basso costo presentata da un gruppo di ricerca operante in Belgio. «Al primo posto vengono qualità e sicurezza», dicono gli specialisti italiani
Un bimbo in provetta? È possibile, da trent'anni a questa parte. Mai prima d'ora, però, la fecondazione in vitro era stata venduta a così basso costo: 200 euro per avere un bambino senza svenarsi, questa la promessa di un gruppo di ricercatori della fondazione belga The Walking Egg. Ma l’offerta, lanciata senza che lo studio sia stato pubblicato su una rivista scientifica, fa discutere: e non poco. I costi sostenuti - tra tre e cinquemila euro per tentare di avere un figlio - sono forse eccessivi, ma per evitare incidenti di percorso è necessario mantenere uno standard di sicurezza elevato, che di fronte a una spesa irrisoria rischia di essere compromesso.
FIGLI LOW-COST - Ad anticipare la notizia, nei giorni scorsi, è stato il quotidiano Repubblica. Con la discutibile metodica, hanno spiegato i ricercatori belgi, sono già venuti alla luce 14 bambini. «Tutti nati, però, da padri fertili e da madri di età inferiore ai 36 anni - spiega Giulia Scaravelli, direttrice del Registro nazionale Procreazione medicalmente assistita dell'Istituto superiore di Sanità -. Se consideriamo che l'efficacia della tecnica è inversamente proporzionale all'età della donna, è presto chiaro perché siano stati ottenuti risultati apparentemente interessanti». A destare maggiori perplessità, poi, è la prospettiva che si vorrebbe assicurare alla nuova metodica. Ovvero: l'utilizzo nei Paesi in via di sviluppo, per permettere anche alle coppie del terzo mondo di avere un figlio in "provetta". «La donna sterile viene spesso emarginata dalla società e ripudiata dal marito, ma ciò non autorizza l'utilizzo di una metodica con un basso livello di sicurezza in Paesi più disagiati», commenta Eleonora Porcu, responsabile della struttura di infertilità e procreazione medicalmente assistita al policlinico Sant'Orsola di Bologna.
DUBBI LEGITTIMI - Qualità e sicurezza sono ottenibili a prezzi più bassi rispetto a quelli oggi presenti sul mercato e spesso regolati dalle strutture private, in Italia abbondanti soprattutto al Centro-Sud. Detto ciò, nei dati preliminari presentati nel corso dell'ultima edizione dello European Society of Human Reproduction and Embriology, gli autori non hanno spiegato nel dettaglio la terapia utilizzata per la stimolazione ormonale né la metodica impiegata per la fecondazione in vitro, che sono poi gli aspetti attraverso cui sarebbero riusciti a ottenere una sensibile riduzione dei costi. Non soltanto: «Un’altra perplessità riguarda la gestione delle complicanze - prosegue Porcu -. Come verranno gestiti gli eventuali episodi di sanguinamento, le infezioni pelviche e le gravidanze extrauterine? E le gravidanze complicate da ipertensione, gestosi e diabete, più frequenti in chi ricorre alla procreazione medicalmente assistita?».
LA SITUAZIONE DELL'ITALIA - La legge 40 del 2004 ha istituito il Registro nazionale della procreazione medicalmente assistita, coordinato da Giulia Scaravelli. La questione dei costi colpisce soprattutto le coppie che si rivolgono a centri privati, in Italia, spesso per ovviare al problema delle lunghe liste d'attesa nei centri pubblici, o all'estero, per sottoporsi a procedure che in Italia sono proibite dalla legge 40. «Siamo il Paese dell’Unione Europea che presenta la più alta età media tra le donne che vanno incontro alla prima gravidanza, quasi mai prima del compimento del trentaduesimo compleanno». Dal 2005 in Italia sono nati 67.054 bambini concepiti grazie all’utilizzo di tecniche di fecondazione in vitro. Nel 2011, anno a cui fanno riferimento gli ultimi dati disponibili sulla procreazione assistita, sono nati 11.933 bambini: il 2,2% del totale dei nati vivi in Italia. Ma ci sono limiti di età da rispettare. «La donna che ricorre alla procreazione assistita dovrebbe avere meno di 38 anni e comunque non più di 42 - chiosa Scaravelli -, soglia oltre la quale la gravidanza ha un 50% di possibilità di esito negativo».
Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).