La risposta al virus dipende da molti fattori. In alcuni casi la genetica può proteggere dall'infezione
Perché alcune persone apparentemente sane sviluppano forme severe di Covid-19? Perché altre sembrano essere immuni dall'infezione? La risposta è da ricercarsi in particolari varianti genetiche che possono proteggere o predisporre chi le possiede a sviluppare o meno la malattia. A due anni di distanza dalla scoperta di Sars-Cov-2 sono sempre più numerosi gli studi che hanno identificato nei fattori genetici la differente risposta tra le persone. Ultimo in ordine di tempo quello pubblicato su Nature Genetics nelle scorse settimane in cui è stata identificata una particolare e rara variante genetica che riduce il rischio di contrarre l'infezione.
IL RUOLO DELL'INTERFERONE
Che la severità o meno di Covid-19 possa dipendere anche dalla predisposizione genetica è omai un dato di fatto. I prmi ad affermare questo concetto sono stati i ricercatori del Covid Human Genetic Effort (CovidHge), un consorzio internazionale di ricerca che coinvolge più di 50 centri di sequenziamento e centinaia di ospedali in tutto il mondo. Secondo gli scienzati almeno il 15% delle forme gravi di Covid-19 sarebbe dovuta ad una predisposizione genetica. Sul banco degli imputati nello sviluppo delle forme più gravi di Covid-19 sembrerebbe essereci l'interferone-1, una molecola prodotta dalle cellule che ci difendono e necessaria a guidare la risposta del sistema immunitario. Ad affermarlo sono stati due studi pubblicato su Science: nel primo studio gli scienziati, analizzando i tessuti provenienti da oltre 900 persone con forme gravi di Covid-19, hanno scoperto che nel 10% dei casi erano presenti auto-anticorpi contro l'interferone. Anticorpi in grado probabilmente di influenzare negativamente la risposta contro il virus; nel secondo studio invece gli scienziati hanno scoperto che un ulteriore 3,5% di pazienti con forme gravi di Covid-19 presentavano mutazioni genetiche capaci di influenzare la corretta produzione dell'interferone-1. Un risultato perfettamente in linea con il primo studio.
IL RUOLO DELL'IMMUNITA' INNATA
Ma l'inteferone non è il solo attore. Recentemente uno studio coordinato dall'Istituto Clinico Humanitas in collaborazione con l'Ospedale San Raffaele di Milano ed altri istituti internazionali, ha scoperto che la produzione della molecola MBL (Mannose Binding Lectin) da parte del nostro sistema immunitario è in grado di legare e neutralizzare la proteina spike del coronavirus. Ecco perché una sua ridotta produzione (di MBL) potrebbe essere una delle cause di malattia severa. In particolare nello studio pubblicato dalla rivista Nature Immunology gli scienziati hanno descritto che variazioni genetiche di MBL (quelle varianti che portano ad una minore produzione) sono associate a gravità di malattia da Covid-19.
IL RUOLO DI ACE-2
Ad aggiungere un ulteriore tassello alla conoscenza sulla predisposizione genetica alla malattia ci ha poi pensato uno studio del Regeneron Genetics Center di Tarrytown (Stati Uniti) pubblicato dalla rivista Nature Genetics. L'analisi si è concentrata mettendo in relazione le caratteristiche genetiche degli individui colpiti dall'infezione da Sars-Cov-2. Dallo studio è emerso che la presenza di una rarissima variante genetica (rs190509934) riduce il rischio di malattia Covid-19 del 40%. Andando ad indagare il ruolo di questa variante si è scoperto che la sua presenza porta ad una riduzione dell'espressione della proteina ACE-2, un recettore fondamentale posto sulle cellule umane che serve al virus come porta di ingresso. Ecco dunque spiegato il perché queste persone, avendo a disposizione meno recettori, sono meno soggette a contrarre la malattia.
L'IMPORTANZA DELLA PREVENZIONE
Quanto descritto non deve però fare cadere nell'errore di considerare l'esito delle infezioni da Sars-Cov-2 come un qualcosa di scritto nella sola genetica e a cui noi non possiamo mettere freno. Tutt'altro. Oggi la severità della malattia e le probabilità di decesso sono particolarmente elevate in relazione all'età e alla presenza di patologie pregresse. I vaccini però hanno dimostrato, anche in queste persone, di poter ridurre drasticamente la severità della malattia. Ecco perché questo straordinario strumento di prevenzione rappresenta l'arma principale nel contrasto a Covid-19.
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Fonti
Daniele Banfi
Giornalista professionista del Magazine di Fondazione Umberto Veronesi dal 2011. Laureato in Biologia presso l'Università Bicocca di Milano - con specializzazione in Genetica conseguita presso l'Università Diderot di Parigi - ha un master in Comunicazione della Scienza ottenuto presso l'Università La Sapienza di Roma. In questi anni ha seguito i principali congressi mondiali di medicina (ASCO, ESMO, EASL, AASLD, CROI, ESC, ADA, EASD, EHA). Tra le tante tematiche approfondite ha raccontato l’avvento dell’immunoterapia quale nuova modalità per la cura del cancro, la nascita dei nuovi antivirali contro il virus dell’epatite C, la rivoluzione dei trattamenti per l’ictus tramite la chirurgia endovascolare e la nascita delle nuove terapie a lunga durata d’azione per HIV. Dal 2020 ha inoltre contribuito al racconto della pandemia Covid-19 approfondendo in particolare l'iter che ha portato allo sviluppo dei vaccini a mRNA. Collabora con diverse testate nazionali.