Il virus probabilmente rimarrà con noi per sempre. Grazie all'immunità acquisita però l'impatto sarà sempre minore. Passato, presente e futuro della gestione Covid-19
Quando finirà la pandemia? Per quanto tempo dovremo andare ancora avanti con isolamenti, quarantene e tamponi? Dovremo vaccinarci ogni 4 mesi? E se arrivasse una nuova variante? Nelle ultime settimane queste domande si sono fatte sempre più pressanti. E’ presente un sentimento di sconforto in chi, vedendo un aumento nel numero di casi e ospedalizzazioni, è portato a pensare di essere “punto e a capo” non vedendo la luce in fondo al tunnel. Per comprendere realmente a che punto ci troviamo occorre però vedere l’intero film della pandemia e non solo gli ultimi fotogrammi. Così facendo scopriremmo che di fronte ad un virus differente rispetto all’originario isolato a Wuhan, i vaccini stanno salvando migliaia di vite e che la situazione attuale sta andando progressivamente migliorando. Un deciso passo verso il controllo della malattia e il graduale ritorno alla “normalità”. Come è accaduto per tutte le pandemie.
QUANDO NASCE UN NUOVO VIRUS
«Alla nascita -spiega il professor Pierluigi Lopalco, epidemiologo presso l’Università del Salento- il nostro sistema immunitario deve essere educato a rispondere efficacemente ai potenziali agenti patogeni che ci circondano. Ciò significa che di fronte ad un qualcosa di pericoloso che non abbiamo mai visto il nostro sistema di difesa comincia a rispondere e -terminata l’azione- mette da parte l’informazione per essere nuovamente pronto in caso di altro attacco». Questa “educazione” può avvenire in due modi: attraverso l’incontro con l’agente infettivo -sviluppando dunque la malattia in tutto e per tutto- o attraverso la vaccinazione. Quando nasce un nuovo virus, come nel caso di Sars-Cov-2, tutti gli individui al mondo sono impreparati da un punto di vista immunologico ad affrontare la battaglia. Questo perché mai in vita loro hanno potuto “vedere” il virus in quanto completamente nuovo. Tutti dunque sono esposti al rischio di sviluppare la malattia.
L’IMPATTO SUGLI OSPEDALI
Nel caso di Sars-Cov-2 si è verificata la tempesta perfetta. Di fronte ad un virus a diffusione aerea anche nella sua fase asintomatica e ad una popolazione “vergine” da un punto di vista immunologico, nel giro di poche settimane siamo stati travolti dal numero di nuove infezioni. «Il problema delle pandemie è essenzialmente questo, tanti casi in poco tempo. Quando ciò si verifica, a saltare è l’intero sistema sanitario. Di fronte ad una situazione del genere, in assenza di immunità pregressa e di terapie antivirali specifiche, i lockdown e la riduzione del numero dei contatti sono state le sole scelte in nostro possesso per “appiattire” la curva dei ricoveri» spiega l’esperto. Una situazione che con l’avvento dei vaccini è cambiata radicalmente.
UN SISTEMA IMMUNITARIO PREPARATO
Come spiegato precedentemente, il sistema immunitario non dimentica più l’incontro con un determinato agente patogeno. Certo, le reinfezioni -specialmente di fronte a nuove varianti- sono possibili ma dopo la prima volta non è mai più come prima. «Nel nostro Paese -prosegue Lopalco- oggi la quota di individui completamente o parzialmente protetti rappresenta almeno il 90% della popolazione. Ciò è dovuto a chi ha fatto tre dosi di vaccino sommati alla più variegata combinazione di una/due dosi di vaccino più una o più infezioni da Sars-CoV-2».
GLI EFFETTI DELL’IMMUNIZZAZIONE
Di fronte ad una popolazione sempre più immunizzata, ovvero in possesso anche parzialmente delle armi per rispondere, l’impatto del virus si è fatto sempre minore. Sono i numeri a testimoniarlo. In questi individui, a seconda del diverso grado di protezione, le probabilità di infezione, ricovero e decesso sono estremamente inferiori rispetto alla persona “vergine” immunologicamente parlando. Andando ad osservare il grafico dei decessi nel tempo -nonostante il virus sia estremamente più contagioso rispetto a due anni fa- è evidente come le “ondate” si facciano sempre più piccole. Ciò accade perché ci troviamo di fronte ad un nemico a cui progressivamente il nostro sistema immunitario ha preso le misure. E’ in questa situazione che il virus da pandemico diventa endemico. «Man mano che un virus diventa endemico, pur continuando a circolare, non produce ondate improvvise e, soprattutto, la proporzione di casi gravi diminuisce poiché gli individui che incontra nella popolazione sono almeno parzialmente immunizzati» spiega Lopalco.
LA PANDEMIA DEI NON VACCINATI
I famosi grafici che mostrano l’andamento della pandemia non raccontano però per intero la reale situazione. «Nella realtà dei fatti esistono due popolazioni: la prima, composta dai non vaccinati, completamente suscettibile. Qui il virus si diffonde con caratteristiche pandemiche sia di velocità che di gravità. Nella popolazione dei vaccinati, invece, il virus si trasmette con modalità endemiche» aggiunge l’esperto. A certificarlo, ancora una volta, i numeri: i due terzi dei ricoveri in terapia intensiva sono relativi a persone non vaccinate nonostante queste rappresentino solo il 10% della popolazione. Il passaggio dunque da pandemia ad endemia è puramente dipendente dalla quota di persone in grado di affrontare il virus perché già immunizzate.
IMPARARE A GESTIRE
«Andando a confrontare la letalità della variante Omicron -oggi prevalente pressoché ovunque- scopriamo che tra i vaccinati con terza dose l’ondata è paragonabile ad una influenza stagionale. Se tutti fossimo vaccinati infatti l’emergenza sarebbe alle spalle» afferma Lopalco. Ciò non significa minimizzare perché anche l’influenza stagionale non è affatto una passeggiata. Mediamente una stagione influenzale in epoca pre-Covid era causa di circa 8 mila decessi. «Di fronte a Covid-19 -aggiunge l’esperto- è necessario un cambio di marcia. Ciò significa ripensare la gestione esattamente come facciamo per l’influenza che non richiede affatto lock-down, quarantene continue, tracciamento e tamponi di fine malattia» spiega l’esperto. Un cambio di mentalità che dovrà investire anche gli ospedali, sempre più pieni di persone ricoverate per altre ragioni ma che risultano positive al tampone. Positivi sì ma ora non più malati di Covid-19 come avrebbero potuto esserlo in epoca pre-vaccinale. «Per questi individui -spiega Lopalco- occorrerebbe comportarsi adottando le prassi tipiche utilizzate per contrastare le infezioni ospedaliere: effettuare uno screening all'ingresso per porre i positivi in isolamento respiratorio o da contatto».
CONVIVERE CON UNA NUOVA MALATTIA
Guardando l’intero film della pandemia la strada sembra dunque tracciata. Per i vaccinati il virus si trasmette più lentamente, perché un vaccinato diventa portatore del virus con minore probabilità e comunque per un tempo più breve. In caso di infezione, poi, le caratteristiche cliniche sono di minore gravità perché anche nei casi di fallimento vaccinale una protezione parziale resta sempre. Non solo, il vaccinato, ogni volta che incontra il virus, magari in una nuova variante, non fa altro che affinare la qualità della propria protezione immunitaria. «Purtroppo resta ancora il problema dei non vaccinati. Di una popolazione cioè in cui il virus continua a circolare con caratteristiche pandemiche: altissima trasmissibilità e gravità clinica elevata. E' questo il gruppo di popolazione su cui dobbiamo concentrare gli sforzi. Il virus, al netto dei piccoli passi indietro provvisori dovuti alle varianti, sta diventando sempre più controllabile. Una nuova malattia è arrivata tra noi, spetta a noi saperla gestire come facciamo con tutte le malattie infettive sorte nei secoli» conclude Lopalco.
Daniele Banfi
Giornalista professionista del Magazine di Fondazione Umberto Veronesi dal 2011. Laureato in Biologia presso l'Università Bicocca di Milano - con specializzazione in Genetica conseguita presso l'Università Diderot di Parigi - ha un master in Comunicazione della Scienza ottenuto presso l'Università La Sapienza di Roma. In questi anni ha seguito i principali congressi mondiali di medicina (ASCO, ESMO, EASL, AASLD, CROI, ESC, ADA, EASD, EHA). Tra le tante tematiche approfondite ha raccontato l’avvento dell’immunoterapia quale nuova modalità per la cura del cancro, la nascita dei nuovi antivirali contro il virus dell’epatite C, la rivoluzione dei trattamenti per l’ictus tramite la chirurgia endovascolare e la nascita delle nuove terapie a lunga durata d’azione per HIV. Dal 2020 ha inoltre contribuito al racconto della pandemia Covid-19 approfondendo in particolare l'iter che ha portato allo sviluppo dei vaccini a mRNA. Collabora con diverse testate nazionali.