Notizie positive dalla ricerca su due anticorpi monoclonali. Le prospettive riguardano la prevenzione primaria, per cui le statine non sempre sono efficaci
Da quarant’anni sono la prima arma che i cardiologi sguainano di fronte a un paziente che presenta valori di colesterolo più alti della norma. Tra i farmaci per la cura dei disturbi cardiovascolari, le statine si collocano al terzo posto: alle spalle degli Ace-inibitori e dei sartani. Soltanto in Italia, secondo l’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa), se ne consumano settanta dosi ogni mille abitanti. Eppure la ricerca sta guardando verso altri orizzonti per ridurre i livelli di colesterolo nel sangue.
Qual è il valore soglia del colesterolo?
VERSO NUOVI FARMACI BIOLOGICI
Risale alla scorsa settimana la pubblicazione di due studi sul New England Journal of Medicine in cui è stata testata l’efficacia di altrettanti farmaci biologici: l’alirocumab e l’evolocumab. Si tratta di due anticorpi monoclonali che agiscono sullo stesso bersaglio: la proteina PCSK9 che interviene nella regolazione dei livelli di colesterolo. Medesimo è l’obiettivo: ridurre i livelli di colesterolo Ldl circolanti nel sangue. Dall’analisi dei risultati delle sperimentazioni, durate 12 (evolocumab) e 18 mesi (alirocumab), l’obiettivo parrebbe raggiunto: con riduzioni dei livelli circolanti di Ldl che hanno sfiorato anche il 70%.
Nel caso dell’evolocumab si è assistito anche a una riduzione degli eventi cardiovascolari: per cui il colesterolo “cattivo” è uno dei primi fattori di rischio. «Le evidenze sono incoraggianti, ma occorrerà attendere la conclusione di due studi su campioni più ampi per determinare le potenzialità di questi due nuovi farmaci - afferma Aldo Maggioni, direttore del centro studi dell’Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri -. Entrambi rendono più disponibili i recettori per il colesterolo Ldl presenti sulle cellule epatiche, favorendone lo stoccaggio. Ma resta ancora da capire su quali pazienti e in quali dosaggi potranno essere utilizzati».
QUANDO E COME CONTROLLARE
I LIVELLI DI COLESTEROLO?
UN APPROCCIO DA RIVEDERE
La ricerca si è messa al lavoro per individuare un’alternativa alle statine per due ragioni: la non irrilevanza dei loro effetti collaterali (nausea, vomito, prurito, cefalea e dolori muscolari), l'associazione con una più frequente insorgenza di diabete e la scarsa efficacia nella prevenzione primaria: quella suggerita ai pazienti che mostrano livelli elevati di colesterolo, senza però essere mai incorsi in un problema cardiovascolare. C’è, poi, un’altra ragione che rimanda al maggior peso dato negli ultimi anni al colesterolo Ldl piuttosto che al valore totale. Gli esperti sono sempre più convinti che per ridurre l’incidenza di infarti e ictus convenga tenere sotto controllo il colesterolo cattivo e il suo rapporto rispetto al valore totale.
«Più che la sua densità, però, occorrerebbe considerare il numero di particelle che lo compongono, in grado di staccarsi e contribuire alla formazione della placca aterosclerotica - dichiara Dennis Bier, direttore del centro di ricerca di nutrizione pediatrica del Baylor College of Medicine di Houston ed editor dell'American Journal of Clinical Nutrition -. In linea generale, però, è giunto il momento di abbandonare l'approccio morboso nei confronti dei singoli nutrienti, finora privo di effetti nella lotta all'obesità e alle malattie cardiovascolari. Il focus deve essere posto sull'intera dieta».
Colesterolo: come interpretare i suoi valori?
L’HDL RIDUCE I RISCHI PER IL CUORE?
Per la stessa ragione nei laboratori si lavora per capire quanto l’aumento della frazione Hdl - che fa da spazzino nei confronti di quello “cattivo” - contribuisca alla riduzione del rischio cardiovascolare. Diversi farmaci sono già in fase di sperimentazione, ma i primi risultati riguardanti il dalcetrepib e il torcetrapib (sperimentazione interrotta) non sono stati quelli attesi. C’è maggior fiducia attorno all’anacetrapib, che in fase II ha mostrato un aumento dei valori di Hdl (+140%) e una riduzione dell’Ldl.
Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).