Un diabetico su 5 è esposto a gravi complicanze epatiche. Dagli esperti l'invito a controllare il fegato come si fa con i reni e con il cuore
Il diabete di tipo 2 può comportare anche problemi al fegato. E, talvolta, nemmeno «passeggeri». Come già osservato tra i bambini, la malattia che scaturisce dalla difficoltà nella metabolizzazione e nello stoccaggio degli zuccheri è in grado di danneggiare anche la più grande ghiandola del nostro organismo. Nello specifico, quello che si osserva nelle persone affette da diabete è un aumento dei casi di steatosi epatica. Un problema che sembra riguardare 1 paziente su 5. Numeri che invitano dunque a considerare anche lo stato di salute del fegato, nel momento in cui si ha a che fare con una persona diabetica. «Finora uno screening di questo tipo non è stato compiuto in maniera routinaria», afferma Gianluca Perseghin, docente di endocrinologia dell’Università di Milano-Bicocca e coordinatore di uno studio pubblicato sulla rivista Diabetes Care per fare luce sulle ripercussioni del diabete a livello epatico.
FEGATO GRASSO IN OLTRE LA METÀ DEI DIABETICI
Il diabete di tipo 2 si conferma uno dei principali fattori di rischio per lo sviluppo della steatosi epatica. Andando a studiare le condizioni del fegato di 825 adulti con una diagnosi di diabete, i ricercatori hanno infatti riscontrato che 7 pazienti su 10 avevano anche la malattia da fegato grasso. Minoritaria (15 per cento) la quota di coloro che avevano già un fegato inavanzato stato di fibrosi. Una condizione che fa da prologo alla cirrosi epatica, rilevata quasi nell'8 per cento dei diabetici. Dati che, escludendo un ruolo da parte di altre condizioni, confermano quanto la malattia che si manifesta (principalmente) con la difficoltà nell'assorbimento degli zuccheri sia in grado di avere un impatto sulla salute nel suo complesso. E non soltanto su un singolo organo: il pancreas, in questo caso.
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LE CONSEGUENZE DEL DIABETE SI «VEDONO» IN TUTTO IL CORPO
Nei pazienti che soffrono di diabete, l’insulina non riesce a svolgere la sua funzione: perché non viene prodotta o perché non riesce a entrare nella cellula. Quando l'ormone non agisce correttamente, il glucosio si accumula nel sangue: da qui l'iperglicemia. La condizione, se non curata, è dannosa per l’organismo e può portare alla comparsa di altri importanti problemi di salute anche a lungo termine, come malattie cardiovascolari, danni al sistema nervoso (neuropatie) o ai reni (nefropatie o insufficienza renale). «Non esiste tessuto, organo o apparato che non sia interessato dagli effetti negativi del diabete - spiega Perseghin -. Una quota di pazienti non trascurabile può sviluppare, soprattutto se obesa, un vero e proprio processo infiammatorio del fegato che predispone all’insorgenza della fibrosi e cirrosi epatica». Considerando che il fegato si fa carico di tutto il glucosio non assimilato dagli altri organi, si capisce perché una ghiandola funzionante impedisce di andare incontro a episodi di iperglicemia potenzialmente dannosi per l’organismo. Come in un circolo vizioso, d'altra parte, se il fegato non funziona, il diabete rischia di peggiorare.
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Al momento, la diagnosi di steatosi epatica si basa principalmente sull'ecografia addominale. Mentre per avere la conferma di un'eventuale evoluzione (quasi sempre asintomatica) in steatoepatite non alcolica è necessario effettuare una biopsia epatica. L’esame istologico mostra lesioni simili a quelle osservate nell'epatite alcolica. Comprese, in genere, le grosse gocce di grasso osservabili in un fegato affetto da steatosi. E permette di quantificare la presenza e la severità della fibrosi epatica. Considerando i numeri della steatosi epatica, che precede l'insorgenza della Nash, non è però possibile sottoporre tutte le persone a rischio a una biopsia. Per razionalizzare le procedure, già da qualche anno si utilizza un algoritmo (Fib-4) che, combinando quattro parametri (età, AST, ALT e piastrine), permette di stratificare la probabilità di avere di fronte un paziente con la Nash. Soltanto dopo aver compiuto questo passo, si decide chi sottoporre a ulteriori esami: l’elastografia epatica ed eventualmente la biopsia. Ancora troppo poco, comunque, considerando quanto estesa sia la base di partenza dei diabetici. «Occorre sviluppare metodiche sempre più affidabili, di semplice utilizzo nella pratica clinica e poco costose - conclude Perseghin-. Soltanto così si potrà pensare di indagare sistematicamente le condizioni epatiche in una popolazione così ampia come quella dei diabetici».
Fonti
Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).