Nella giornata mondiale si riapre il dibattito. Virus C: il farmaco c’è, ma costa troppo. Hev: nuovi riscontri nella trasmissione dai suini all’uomo
Parlarne non basta mai, devono aver pensato gli esperti, se per l’occasione odierna della Giornata mondiale delle epatiti hanno scelto un titolo valido per tutte le stagioni: pensiamoci di nuovo. La ricerca non segnala sostanziali novità, ma tenere desta l’attenzione è utile, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, per prevenire e curare le diverse infezioni che provocano oltre un milione di morti ogni anno. Genericamente, infatti, si parla di epatiti, ma i virus provocano forme altrettanto differenti di malattia, con orizzonti di guarigione non sempre uguali.
EPATITE C, ECCO LA SOLUZIONE
La notizia rimbalza già da qualche mese: il sofosbuvir, più di due alternative sul mercato già da qualche mese, è il vero antidoto al virus dell'epatite C, per cui non esiste ancora una profilassi efficace. «È un momento epocale per la medicina: siamo di fronte a un farmaco in grado di arrestare la malattia e migliorare la prospettiva di vita del paziente», sostiene Pietro Andreone, docente di medicina interna all’università di Bologna. Il nodo da sciogliere riguarda i costi delle terapie, al momento proibitivi. A oggi, infatti, un ciclo di cure complete con il sofosbuvir - che garantisce una guarigione completa nel 90% dei casi - costa 61mila euro. Ma dal 2016, è la promessa divulgata pochi giorni addietro dal ministro della salute Beatrice Lorenzin, l’obiettivo è quello di assicurarlo gratuitamente a tutti i pazienti: poco più di un migliaio, molti dei quali in attesa di trapianto. Una soluzione, quella più drastica, raggiungibile soltanto per pochi, rispetto alla possibilità di trattare i pazienti su larga scala con i nuovi farmaci.
LA “RIATTIVAZIONE” DI HBV
Il problema oggi è molto dibattuto nella comunità scientifica. Ma la riattivazione dell’epatite B, infezione più diffusa e correlata con maggiore frequenza all’insorgenza di epatocarcinomi del fegato, è un problema che in realtà esiste da sempre e si manifesta nelle persone che, curata l’infezione primaria dal virus, si trovano a riaffrontarla anche a diversi anni di distanza. Ciò accade nei pazienti che, per altre ragioni, si sottopongono a terapie che deprimono il sistema immunitario: in primis cure oncologiche e trapianti. «L’eradicazione del virus dell’epatite B, a differenza di quello dell’epatite C, non è mai definitiva - afferma Carlo Federico Perno, direttore dell'unità di virologia molecolare all'università Tor Vergata di Roma -.
Ecco perché oggi occorre insistere sullo screening dell'infezione, sopratutto prima di iniziare un trattamento immunosoppressore». Indicazioni preziose che l'Organizzazione Mondiale della Sanità sta mettendo assieme nelle nuove linee guida per la prevenzione e la gestione dei pazienti colpiti dal virus Hbv, di prossima diffusione. «Occorre aumentare l'accesso alla vaccinazione e alle cure», dichiara Gottfried Hirnschall, direttore del dipartimento per l'Hiv dell'Oms che ribadisce «come spesso i pazienti sieropositivi risultino vulnerabili ai virus dell'epatite B e C», anche se per questi ultimi una soluzione potrebbe arrivare dal trattamento combinato con sofosbuvir e ribavirina, come si evince da un articolo appena pubblicato su The Journal of American Medical Association.
ZOONOSI EMERGENTI
Ben diverse, almeno nelle modalità di contagio, sono invece le epatiti A ed E, i cui decorsi sono acuti. Se le “sorelle maggiori” si trasmettono soprattutto attraverso il sangue e altri fluidi corporei (liquido seminale e secrezioni vaginali per l’epatite B), le ultime due forme si contraggono soprattutto a tavola. «Si tratta di due infezioni emergenti per cui non si può escludere l’esistenza di nuovi veicoli di trasmissione - commenta Adriana Ianieri, docente di ispezione e controllo degli alimenti di origine animale all’università di Parma -. Il veicolo principale è l’acqua contaminata da residui fecali che può essere utilizzata per l’irrigazione, ma anche quella marina: da qui i rischi legati al consumo di molluschi crudi e di vegetali eventualmente irrigati con acqua poco salubre». Se per l’epatite A, nell’ultimo anno, hanno fatto notizia gli oltre cento contagi provocati dai frutti di bosco congelati e consumati crudi, per l’epatite E sono in corso diversi studi che mirano a chiarire il rischio legato al consumo di carni suine infette.
«I ceppi che contagiano l’uomo e gli animali sono stati identificati principalmente nei suini - precisa Franco Maria Ruggeri, direttore del reparto di zoonosi virali del dipartimento di sanità pubblica veterinaria e sicurezza alimentare dell’Istituto Superiore di Sanità -. Ci sono prove di trasmissione del genotipo 3 del virus attraverso il consumo di carne di maiale o di cervo poco cotta. Il virus è spesso presente nei suini: ciò fa pensare che sia poco aggressivo nell’uomo o che comunque necessiti di una dose infettante elevata per provocare la malattia».
Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).