Somministrati con interferone e ribavirina, risultano efficaci nel 75% dei pazienti affetti dal genotipo I del virus Hcv (il più aggressivo). Ma in Italia molte Regioni non hanno ancora comunicato i centri autorizzati per la nuova cura
Per adesso è nuovo il principio alla base della terapia: non più diretta a stimolare soltanto il sistema immunitario, ma in grado di arrestare direttamente la replicazione virale. In futuro, è la speranza, l’approccio potrebbe permettere di curare tutti o quasi i malati di epatite C, contagiati dal virus Hcv: per cui l’ipotesi di un vaccino è ancora molto lontana.
TERAPIA INTEGRATA
Boceprevir e Teleprevir: sono i nomi dei due farmaci in commercio dall’inizio dell’anno, dimostratisi efficaci nella terapia triplice con ribavirina e interferone, in uso già da un ventennio per la cura della più pericolose tra le forme di infiammazione del fegato, considerati i casi di diagnosi ritardata che possono portare a riconoscere la malattia quando sono già manifeste le sue complicanze: quali cirrosi ed epatocarcinoma del fegato. «Si è visto come questo metodo si sia rivelato efficace nel 75% dei pazienti che partono da uno stadio di fibrosi intermedio, considerato il segnale di avanzamento della malattia», spiega Antonio Picardi, responsabile dell’unità operativa di epatologia del Campus Bio-Medico di Roma. Entrambi i farmaci, testati su pazienti che mai si erano sottoposti prima a un trattamento antivirale, hanno comportato la negatività all’Hcv, genotipo 1, anche sei mesi dopo la fine del trattamento: comunque mai inferiore a un anno.
I PROBLEMI DELL’ITALIA
Dopo 18 mesi di attesa, i due farmaci sono stati approvati dall’Aifa alla fine del 2012, ma risultano ancora indisponibili in molte regioni italiane che non hanno deliberato quali siano i centri autorizzati. «Molti dei pazienti in lista di attesa hanno uno stadio avanzato della malattia e sono al limite della eleggibilità a queste nuove cure: col trascorrere del tempo si allontana la loro unica possibilità di bloccare l’evoluzione della malattia», puntualizza Ivan Gardini, Presidente di Epac Onlus. Al momento risultano inadempienti Calabria, Emilia Romagna, Marche, Sardegna e Sicilia.
PREVENZIONE
Più del 10% dei pazienti italiani affetti da epatite C hanno contratto l’infezione dopo essersi sottoposti a trattamenti estetici: piercing e tatuaggi i più rischiosi. Un recente studio pubblicato su “Hepatology” ha confermato il dato anche in soggetti non considerati a rischio, poiché mai sottopostisi a trasfusioni di sangue. «Le operazioni devono sempre avvenire in ambienti controllati, con strumenti sterilizzati», precisa Picardi. Più basso, invece, è il rischio per le mamme affette da epatite, che possono partorire in entrambi i modi (naturalmente e con taglio cesareo) e allattare (il virus non è stato finora trasmesso attraverso il latte). Ai genitori che hanno invece seguito la terapia integrata, si consiglia di attendere sei mesi dal termine della stessa prima di iniziare una gravidanza.
IL RICORSO AL TRAPIANTO
Quando l’epatite ha già sviluppato le sue complicanze (prima la cirrosi epatica, poi l’epatocarcinoma) il rimedio salvavita è rappresentato dal trapianto dell’organo. «Non bisogna più considerare l’intervento estremo, dal momento che si è notato come, se anticipato di almeno un anno rispetto alla prassi attuale, aumenti le probabilità di sopravvivenza del paziente e riduca i costi per il sistema sanitario», afferma Franco Filipponi, direttore dell’unità operativa di chirurgia epatica e del trapianto di fegato all’università di Pisa e presidente della Società italiana per la sicurezza e la qualità nei trapianti. « È fondamentale ottimizzare la rete tra i centri specializzati e ridurre le liste di attesa: a non più di 40-50 pazienti. In questo modo avranno la certezza, e non soltanto la speranza, di poter avere in tempi brevi un organo nuovo e funzionante».
Ecco cosa si deve sapere sull'epatiteFabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).