Le prime prove sui bambini parlano di un calo dell'uso di antibiotici del 30-50 per cento tra coloro che assumono probiotici a cadenza quotidiana. Ma serviranno ulteriori conferme
Abbiamo più batteri che cellule. Impossibile pensare male di tutti. D'altra parte esistono anche i batteri «buoni», i probiotici che, secondo la definizione della Fao e dell’Organizzazione mondiale della Sanità, sono «micro-organismi vivi che, somministrati in quantità adeguata, apportano un beneficio alla salute dell'ospite». Che, in questo caso, saremmo noi, umani. Microrganismi ovviamente non patogeni, presenti negli alimenti o aggiunti ad essi. L’idea di un gruppo di ricercatori è stata quella di vedere se, «armandosi» di probiotici, si possa prevenire (o quanto meno ridurre) l'uso degli antibiotici. Il problema sempre più diffuso è in effetti la resistenza che abbiamo sviluppato nei confronti di questi farmaci a causa di un uso esagerato e sbagliato, rendendoli inefficaci.
MENO CURE
I risultati, pubblicati sull’European Journal of Public Health, vengono dal riesame di 12 studi condotti su bambini. Mettendo insieme i dati si è visto che, dopo avere assunto giornalmente probiotici, i più piccoliavevano avuto meno bisogno di antibiotici, rispetto ai gruppi di controllo, del 29 per cento. Restringendo il campo di indagine agli studi più restrittivi, la percentuale è salita al 53 per cento. Niente di definitivo, a ogni modo, non è ancora il momento di cantare vittoria, fanno presente gli stessi ricercatori, guidati dalla dottoressa Sarah King, dell’Università di Cambridge (Inghilterra): «Tuttavia è evidente che simili dati preliminari sono uno stimolo a continuare la ricerca e si dovrebbe centrarla su un altro gruppo fragile sul piano salute: gli anziani. Se le premesse fossero confermate, si tratterebbe d un impatto enorme».
FARMACI: LE DIECI NOVITA'
PIU' IMPORTANTI DEGLI ULTIMI 70 ANNI
IN EUROPA 33MILA MORTI ALL'ANNO PER LA RESISTENZA AGLI ANTIBIOTICI
I Centri americani di controllo e prevenzione delle malattie (Cdc) dicono che negli Stati Uniti ci sono due milioni all’anno di persone con infezioni resistenti agli antibiotici (l'analogo problema, in Europa, provoca 33mila decessi ogni anno) e che ne consegue la morte di 23mila. Daniel Merenstein, uno degli studiosi di Georgetown, nota: «Noi sappiamo già che consumare probiotici riduce l’incidenza, la durata, la gravità di gravi infezioni respiratorie e gastrointestinali. La questione è se questa riduzione è solidamente legata a un declinante uso di antibiotici: per ora osserviamo che vi è un’associazione». Che, in medicina, significa sottolineare che manca la prova di un legame di causa-effetto. Come i probiotici riescano a combattere infezioni respiratorie o intestinali non è chiaro. Sempre Merenstein afferma: «Potrebbero entrare in gioco diversi potenziali meccanismi, tipo la produzione da parte dei probiotici di inibitori patogeni, o un impatto sul sistema immunitario, solo per fare due esempi. Comunque, dato che la gran parte del nostro sistema immunitario si trova nel tratto gastrointestinale, può essere che l''ingestione di batteri sani entri in competizione con i batteri patogeni legati alle infezioni gastrointestinali e li metta fuori gioco». I probiotici impiegati nello studio-revisione sono stati il Lactobacillus e il Bifidobacterium.
IL MICROBIOTA MANGIA CON NOI
«Abbiamo sì più batteri che cellule», interviene Annalisa Pantosti, dirigente del dipartimento malattie batteriche dell’Istituto Superiore di Sanità a Roma. «Si chiama microbiota l’insieme dei batteri che convivono con il nostro organismo senza danneggiarlo. Tutte le mucose a contatto con l’esterno sono coperte da questi batteri commensali: il termine significa che “mangiamo alla stessa tavola” in quanto loro terminano i processi della digestione di alimenti che non riusciamo ad assorbire». Continua la dottoressa Pantosti: «Nell’infanzia i primi batteri il bimbo li prende dal latte materno che si espandono colonizzando il suo organismo e stimolando la crescita del sistema immunitario».
MANCANO NUOVI FARMACI
La metanalisi è ancora a livello preliminare, nota la studiosa, ma la prospettiva che lascia intravedere è molto positiva. «Se avessimo dei probiotici nell’intestino che chiudono la strada ai batteri cattivi, avremmo sì un diminuito bisogno di antibiotici. Che, ricordiamocene tutti, vanno usati bene, soltanto nei casi adatti. Non dobbiamo sprecarli anche perché per tanti anni non ne usciranno di nuovi». Il motivo sta nei tempi lunghi della ricerca, «per un farmaco in media vent'anni». Inoltre, le case farmaceutiche si erano disinteressate al problema perché pareva che di antibiotici ce ne fossero abbastanza. «Se poi ne uscisse uno nuovo, certamente sarà prescrivibile per un campo molto ristretto al fine di tutelarne nel tempo l’efficacia».
Serena Zoli
Giornalista professionista, per 30 anni al Corriere della Sera, autrice del libro “E liberaci dal male oscuro - Che cos’è la depressione e come se ne esce”.