In molti tipi di latte artificiale l'olio di palma è aggiunto per «avvicinare» la bevanda al latte materno. Ma le alternative esistono
La richiesta è giunta da una lettrice. «Nel latte artificiale che do a mio figlio c'è anche l'olio di palma: posso stare tranquilla o corro il rischio che ci siano delle conseguenze per la sua salute?». La risposta - stando a quelle che sono le prove messe finora sul tavolo dai ricercatori - non aiuta a sbrogliare fino in fondo la matassa. «Gli oli vegetali, come quello di palma, sono ricchi di grassi saturi e, nel corso dei processi di lavorazione, accumulano contaminanti che oltre certe quantità possono interferire con gli apparati urinario e riproduttore - afferma Elena Dogliotti, biologa nutrizionista e supervisore scientifico della Fondazione Umberto Veronesi -. Queste evidenze sono però giunte soltanto da studi condotti su animali. Lo stesso rischio non è dunque stato mai dimostrato sull'uomo». Ma applicare il principio di precauzione ai lattanti è opportuno: perché se alimentati esclusivamente con i latti in formula hanno un rischio più alto rispetto al resto della popolazione di superare la soglia oltre la quale è stato registrato l'effetto tossico dei contaminanti.
L'Istituto Superiore di Sanità «assolve» l'olio di palma
IL DIBATTITO SULL'OLIO DI PALMA
L'impatto dell'olio di palma - e più in generale degli oli tropicali: olio di cocco, di palma e di palmisto - nella dieta è valutato da pochi anni. Al contrario di altri oli vegetali (olio d’oliva, oli di semi), quelli tropicali contengono un’elevata percentuale di acidi grassi saturi (92 per cento nell’olio di cocco, 82 per cento nell’olio di palmisto e 49 per cento in quello di palma), prerogativa dei grassi di origine animale. Di fatto, pur trattandosi di un grasso vegetale, l’olio di palma ha una composizione in acidi grassi saturi (palmitico, miristico e laurico) più simile al burro e al lardo che agli altri oli vegetali. Sul ruolo dei grassi saturi nella dieta, ci sono pochi dubbi: aumentando i livelli di colesterolo «cattivo» nel sangue, rappresentano un fattore di rischio per le malattie cardiovascolari. In primis l’infarto del miocardio. Come sempre, però, è la quantità che si consuma a fare la differenza.
L'OLIO DI PALMA FA MALE ALLA SALUTE?
SE L'OLIO DI PALMA FINISCE NEL BIBERON
La querelle sull'impiego degli oli tropicali da parte dell'industria alimentare non poteva risparmiare i produttori di latte di formula, che li utilizzano, insieme ad altri oli vegetali, al fine di completare il profilo lipidico che i grassi garantiscono e rendere il prodotto formulato quanto più simile possibile al latte materno. Anche inel latte materno, infatti, è presente l'acido palmitico che, come spiega Vito Leonardo Miniello, docente di nutrizione e dietetica infantile all’università di Bari e vicepresidente della Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale (Sipps), «riveste un ruolo cruciale nelle prime fasi della crescita post-natale, poiché rappresenta uno dei costituenti dei tessuti nervosi e retinici». Da qui la necessità di aggiungere nei prodotti in formula - oltre a proteine, vitamine e sali minerali - anche il palmitico: attraverso l’olio di palma o altri oli vegetali, tra cui quello di colza. Sulla base delle conoscenze attuali, non c'è alcuna evidenza che l'aggiunta di olio di palma nel latte artificiale favorisca l’insorgenza di obesità o disturbi cardiovascolari nei bambini. Ma a preoccupare, in questo caso, è sopratutto l'esposizione ad alcuni contaminanti - come il 3-monocloropropandiolo - che si formano durante il processo di raffinazione degli oli vegetali, condotti a temperature superiori a 200 gradi.
I CONTAMINANTI CHIMICI NELL'OLIO DI PALMA
Ad accendere i riflettori su queste sostanze, il 3 maggio del 2016, fu l'Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa), che attraverso un comunicato stampa spiegò quali fossero i rischi alimentari legati alla sintesi di questi contaminanti pericolosi, noti agli ooperatori dell'industria alimentare. Dal documento si evinceva che l'olio di palma, tra quelli vegetali, fosse il più esposto al rischio di sintesi di questi composti. Di conseguenza, essendo l'olio di palma presente in molti alimenti tra cui anche i latti in formula, a essere più esposti sono neonati e bambini. Considerando che «l'esposizione dei neonati che consumano esclusivamente alimenti per lattanti costituisce motivo di particolare preoccupazione, in quanto è fino a dieci volte il livello considerato a basso rischio per la salute pubblica», gli esperti stabilirono una dose giornaliera tollerabile di 0,8 microgrammi per chilogrammo di peso corporeo al giorno per l'esposizione al 3-monocloropropandiolo, che «negli animali ha evidenziato un'azione sia genotossica sia cancerogena», misero nero su bianco i membri della commissione sui contaminanti nella catena alimentare dell'Efsa. Negli ultimi giorni, però, è giunta una parziale rettifica. L'Efsa ha infatti innalzato il limite a due microgrammi per chilogrammo, «perché nel frattempo è cambiato il metodo che abbiamo utilizzato per calcolare la nostra precedente dose giornaliera tollerabile - si legge nelle motivazioni -. Abbiamo ricontrollato i dati relativi agli effetti sullo sviluppo e la riproduzione, in particolare quelli sulla fertilità maschile, e calcolato i livelli ai quali potrebbero verificarsi effetti nocivi su reni e fertilità maschile. La nuova dose giornaliera tollerabile è protettiva per entrambi i tipi di effetti».
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NESSUN ALLARMISMO, MA LE ALTERNATIVE ESISTONO
Per concludere, è giusto ribadire che «la soglia è comunque un indicatore precauzionale, poiché non ci sono dati di tossicità sull'uomo e non esiste al momento una relazione automatica tra il consumo di questo alimento e l'insorgenza di malattie», chiosa Dogliotti. In ogni caso diverse aziende hanno scelto di escludere l'olio di palma dagli ingredienti dei latti in formula, sostituendolo con olio di semi di girasole, di lino, di soia, di borragine e di rapa.
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Fonti
Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).