L’infezione, a trasmissione alimentare, è poco nota. Ma un italiano su cinque risulta essere entrato a contatto con l’epatite E. Prevenzione: la carne va cotta (al cuore) ad almeno 71 gradi
La conoscono in pochi, vista la ridotta incidenza rispetto alle più conosciute «cugine». Eppure l’epatite E è un’infezione a trasmissione alimentare, come la A, la cui diffusione è in aumento in Europa come in Italia. Lungo la Penisola, è la stima diffusa dal Centro Nazionale nel Sangue, un connazionale su dieci sarebbe entrato a contatto con il virus. Come? Attraverso il consumo di carne di maiale cruda o poco cotta, ha certificato pochi giorni fa l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (Efsa).
Anche le carni (rosse e trasformate) tra le cause del cancro
UNA ZOONOSI DIFFUSA SOPRATTUTTO ATTRAVERSO I MAIALI
Diffusa per lo più in Medio Oriente, Africa e America Centrale, l’epatite E è sempre più diagnosticata anche in Europa. Gli esperti del Centro Europeo per la Prevenzione e il Controllo delle Malattie (Ecdc) hanno rilevato oltre ventunomila casi di infezione negli ultimi dieci anni: un dato maggiorato di dieci volte rispetto a quello atteso, che oggi suggerisce cautela. E se «in passato si riteneva che la principale fonte di infezione fosse l’acqua contaminata bevuta durante viaggi fuori dal Vecchio Continente, ora invece sappiamo che la principale fonte di trasmissione della malattia in Europa è il cibo», ha affermato Rosina Girones, a capo del laboratorio di ricerca sulle zoonosi alimentari dell’Università di Barcellona e presidente del gruppo di lavoro dell’Efsa sull’epatite E. Nel parere l’attenzione è stata puntata sul consumo di carne di maiale cruda, così come di fegato. Rispetto alle altre forme di epatite, il virus dell’epatite E è l’unico che ha dimostrato di poter essere trasmesso a partire dagli animali: suini in primis, ma anche polli e tacchini. Da qui l’etichetta di zoonosi, ovvero malattia trasmissibile dagli animali all’uomo: a tavola, ma soprattutto per contatto diretto (per gli allevatori).
I SINTOMI DELL'EPATITE E
Il virus, presente in quattro diversi genotipi, provoca un’infezione acuta fulminante soltanto in rari casi e comunque nelle aree endemiche, dove sono più diffusi i genotipi 1 e 2. In Europa, dove prevalgono i genotipi 3 e 4, è più facile che l’infezione si mantenga a un livello subclinico, cioè non mostri segni rilevanti. Perdita dell'appetito, stanchezza, produzione di urine scure, feci chiare e febbre sono sintomi ascrivibili a un’infezione da epatite E, ma talmente aspecifici da renderne difficile l’identificazione.
I NUMERI DELL’ITALIA
L’Italia è stata finora considerata un Paese a basso rischio. Ma stando alle statistiche del Centro Nazionale Sangue e dall’Istituto Superiore di Sanità, un connazionale su dieci possiede gli anticorpi contro l’epatite E: segno di un precedente contatto col virus. Il dato minore è stato trovato in Basilicata, quello più alto in Abruzzo. In generale le regioni dell’Italia centrale - comprese le Marche, il Lazio, la Toscana, l’Umbria e la Sardegna - hanno mostrato la prevalenza maggiore. Un riscontro riconducibile ai maggiori consumi di carne cruda di maiale e di salsicce di fegato, che diversi studi hanno indicato come possibile veicolo. In nessuno dei campioni è stato invece trovato il virus attivo e capace di replicarsi. «Il lavoro proseguirà con uno studio prospettico, in cui il virus verrà cercato in donatori arruolati tenendo conto dei dati di prevalenza emersi da questo studio - chiosa Giancarlo Maria Liumbruno, direttore del Centro Nazionale Sangue -. L’infezione è considerata una malattia emergente in Europa. Tutti i Paesi stanno iniziando ad analizzarla con attenzione per valutare l’eventuale necessità dell’adozione di misure di screening».
Fonti
Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).