Uno studio dell’Istituto Superiore di Sanità rileva che il 7,6% dei neonati in Italia portano il segno che la madre ha ecceduto nel bere.
Poiché non si conosce la quantità nociva l’Istituto consiglia tolleranza zero col pancione. Una guida anche per i medici
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Come bisogna astenersi da salumi e pesce crudo in gravidanza, così bisogna astenersi da vino, birra e liquori. «Purtroppo quest’ultima norma non è nota, non sono ancora consapevolezza diffusa nemmeno tra i medici i rischi per il feto connessi al consumo di alcol da parte della madre durante i nove mesi di gestazione. E non sono rischi da poco», dice la dottoressa Simona Pichini, che ha guidato uno studio su questo tema dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss).
TRACCE ANCHE NEL PANNOLINO - Sono stati esaminati 607 neonati in sette neonatologie sparse per il paese e si è constatato che 7,6 su cento hanno avuto un’esposizione all’alcol nel grembo materno. A far da guida nell’indagine un biomarcatore messo a punto nei laboratori Iss, l’eticlglucuronide, capace di rivelare tale esposizione nel meconio, le prime feci del neonato.
I RISCHI DELL'ECCESSO - Si chiama sindrome feto alcolica l’insieme di disabilità permanenti che il feto può contrarre a causa del vino e altri alcolici bevuti dalla madre incinta. «Certo, perché questa sindrome risulti pienamente espressa bisogna pensare a una donna alcolizzata o con le abitudini al bere mediamente più diffuse fra le donne del Nord o delle donne dell’Est europeo, che bevono sostenuto. Non alle abitudini del bere mediterraneo -, spiega Simona Pichini. - Il guaio però è che non sappiamo quanto alcool faccia male né in che periodo della gravidanza possa nuocere. Questi dati, non li conosciamo neppure negli animali. Perciò siamo costretti a prescrivere: zero alcool in gravidanza».
DUBBI SUI LIVELLI DI SICUREZZA - Ma bere poco come nelle abitudini appunto mediterranee? «Resta l’osservazione fatta sopra. Perché: esiste un “poco” che non fa male? Non lo sappiamo. Ma sappiamo che esistono disturbi meno gravi della sindrome feto alcolica, inquadrati nello spettro dei disordini feto alcolici, che restano seri. Potrebbero derivare da un minore consumo di alcool. Ma minore quanto?».
UNA GUIDA ANCHE PER I MEDICI - L’Iss auspica un’opera di sensibilizzazione del pubblico su questo problema sommerso, delle donne innanzitutto, ma sa che si deve partire da ginecologi, ostetriche, neonatologi, pediatri. Per loro informazione e uso ha pubblicato una “Guida alla diagnosi dello spettro dei disordini feto alcolici” che si può scaricare dal sito dell’Istituto, settore Osservatorio Fumo, Alcol e Droga, e che verrà distribuito a tremila medici. Qui tra le “disabilità” che la sindrome feto alcolica può creare sono elencati variazioni morfologiche (corporatura e ossatura piccola, caratteristiche facciali particolari come occhi molto piccoli e il labbro superiore non evidente) e ritardo mentale. Nello spettro di disturbi dai meno gravi ai più pesanti compaiono ancora diversi gradi di ritardo mentale, forme di iperattività e di deficit di attenzione, problemi neurocomportamentali. «Una volta a scuola il bimbo può non capire bene i numeri o la matematica, può socializzare poco, e questo resterà anche da adulto poi, sviluppando un’eventuale tendenza a delinquere. Occorre un training per le famiglie perché sono ragazzi con cui è difficile convivere». Aggiunge la dottoressa Pichini: «Molti ragazzi adottati dall’Est europeo presentano questi disordini».
SPETTRO EUROPEO - Lo studio dell’Iss è uno dei primi sull’argomento, ed ha coinvolto anche la Spagna: se da noi i valori dell’esposizione all’alcol del feto vanno dallo 0 della neonatologia di Verona al 29% dell’Umberto I a Roma, a Barcellona i dati hanno evidenziato un 45%. L’opera di sensibilizzazione riguarda non solo noi, ma tutta l’Europa.