Il glaucoma infantile è una malattia rara, che può colpire neonati e bambini (entro i 5 anni). La tempestività della diagnosi cruciale per evitare danni permanenti alla vista
Un bambino a me molto caro si è ammalato di glaucoma: questa la diagnosi comunicata dal pediatra a sua mamma. Ma il glaucoma non era una malattia soltanto della terza età?
Federica M. (Savona)
Rispondono Luciano Quaranta (direttore della clinica oculistica del policlinico San Matteo di Pavia) e Stefano Miglior (direttore della clinica oculistica del Policlinico di Monza e presidente dell’Associazione Italiana Studio per il Glaucoma)
Il glaucoma, che colpisce 55 milioni di persone nel mondo, è la prima causa planetaria di cecità irreversibile e si manifesta quasi sempre danneggiando il nervo ottico di entrambi gli occhi. Nella maggior parte dei casi, la malattia è associata a un aumento della pressione interna dell’occhio. Ma un ruolo determinante lo giocano anche alcuni fattori neurodegenerativi e vascolari. Questi aspetti, messi assieme, causano nel tempo danni permanenti alla vista: accompagnati da riduzione del campo visivo e alterazioni della papilla ottica, visibili all’esame del fondo oculare.
In quanto malattia degenerativa, con diversi punti in comune anche con l'Alzheimer e il Parkinson, spesso si è portati a pensare che il glaucoma (seconda causa di cecità nei Paesi industrializzati) possa colpire esclusivamente chi è già entrato nella terza età. In realtà, però, quanto accaduto al bambino di sua conoscenza è un evento raro, ma non senza precedenti. Esiste infatti anche una forma di glaucoma infantile. Si tratta di una malattia che colpisce all’incirca un neonato su trentamila, che può presentarsi alla nascita o comunque nei primi cinque anni di vita di un bambino e causare danni irreversibili alla vista.
La lacrimazione, la fotofobia (ovvero l'intolleranza alla luce diretta) e il blefarospasmo (chiusura serrata delle palpebre legata al dolore oculare) sono i primi segni di un possibile glaucoma. Il primo specialista a riscontrarli è di solito il pediatra, che in questo caso dovrebbe affidare immediatamente il bambino alle cure di un oculista. Ma in realtà a notare qualcosa di anomalo sono spesso i genitori. Ragion per cui è importante che le mamme e i papà siano preparati al riconoscimento dei segni e dei sintomi della malattia.
Nei casi più eclatanti, come quando si osservano un significativo aumento delle dimensioni della cornea e del bulbo (si parla di buftalmo), la diagnosi è relativamente semplice. Tuttavia talora si registra un ritardo, dovuto alla presenza di segni più sfumati della malattia, riscontrabili nelle forme che insorgono dopo i 30-40 giorni di vita. Nel glaucoma pediatrico, la tempestività della cura è correlata alla prognosi. Il trattamento si basa sulla terapia farmacologica, sull’uso del laser e sulla chirurgia. In prima battuta si fa quasi sempre ricorso a colliri in grado di abbassare la pressione endoculare. Non sempre, però, questo approccio si rivela sufficiente.
Da qui il frequente ricorso anche alla chirurgia: in prima battuta nei pazienti più gravi o a seguire tra coloro che sono stati già trattati con i farmaci, ma con scarso successo. Dopo l’intervento, sottoporre un bambino a controlli periodici aiuta a verificare l’efficacia del trattamento, che può eventualmente anche essere ripetuto nel tempo.