Gli studi specifici sono pochi, ma i farmacologi caldeggiano l’uso dei farmaci cosiddetti equivalenti. Gli specialisti tuttavia raccomandano una maggior attenzione
Se ne discute sempre, ma il dibattito sull’utilizzo dei farmaci generici in età pediatrica è il più acceso: non fosse altro per la sensibilità dei giovani da curare. Nell'ultimo quadriennio, grazie ai farmaci equivalenti, il Servizio Sanitario Nazionale ha risparmiato circa 400 milioni l'anno (fonte Assogenerici). Una cifra che è destinata a crescere per effetto del provvedimento sulla spending review che ha previsto l’obbligo per il medico di scrivere sulla ricetta il nome del principio attivo. Ma i pediatri predicano prudenza.
GENERICO O “GRIFFATO”? – La differenza tra un farmaco “etichettato” da una casa farmaceutica e un cosiddetto generico sta nella bioequivalenza che, attraverso tre parametri farmacocinetici, influenza la concentrazione ematica del principio attivo. Questo, invece, è necessariamente lo stesso. «È bene chiarire che il prodotto equivalente punta ad assicurare la medesima resa terapeutica con un farmaco che costa meno», chiarisce Giorgio Cantelli Forti, ordinario di farmacologia all’università di Bologna. La bioequivalenza può variare del 15-20%: entro un limite che considera la variabilità interindividuale di assorbimento, senza alterare gli effetti. «L’effetto dei due farmaci sullo stesso paziente è sovrapponibile. Identici sono anche i controlli di efficacia, sicurezza e qualità».
QUALI DUBBI? - «Ma il bambino non è un adulto in miniatura», spiega Giovanni Corsello, presidente della Società Italiana di Pediatria, chiamato a prendere una posizione nel corso del 69esimo congresso nazionale. «La prescrizione dei farmaci deve essere il frutto di un percorso che integra efficacia e sicurezza in modo più stringente rispetto all’adulto, perché occorre sempre tener conto non solo della tossicità dei prodotto in quanto tale ma dei suoi possibili effetti negativi su un organismo diverso, sul piano dei recettori e delle vie metaboliche, e peculiare perché in via di sviluppo». La cautela sui generici riguarda in particolare la questione del dosaggio. Ma non è da sottovalutare nemmeno il problema degli edulcoranti e degli additivi, sostanze senza azione farmacologica che garantiscono la stabilità e la conservazione del farmaco. Nel generico questi ingredienti possono essere diversi rispetto a quelli utilizzati nel farmaco “griffato”. «Si tratta di sostanze che possono dare luogo a reazioni orticarioidi, talvolta imputate al principio attivo, ma che in realtà derivano proprio dagli eccipienti», sottolinea Roberto Bernardini, presidente della Società Italiana di Allergologia e Immunologia Pediatrica (SIAIP).
LA RETICENZA ITALIANA – In Italia l’ingresso dei farmaci generici sul mercato è ancora ridotto: la diffusione non va oltre il 14%, mentre negli Stati Uniti gli equivalenti sono utilizzati dall’84% della popolazione. Alla luce di queste considerazioni, non sorprendono i risultati del primo studio nazionale sulla percezione e l'utilizzo di generici da parte dei pediatri di famiglia, di recente pubblicato sulla rivista “Health Policy”. Su 303 medici interpellati, circa il 70% ha dichiarato di avere una conoscenza sufficiente o abbastanza buona e la maggioranza di essi ha ritenuto sufficiente (33.6) o buona (45,2%) la loro efficacia. Ciò nonostante solo il 13,5% dei pediatri tratta o ha trattato più del 50% dei pazienti con i generici. Gli specialisti hanno però accolto con soddisfazione il Regolamento Europeo che impone alle aziende farmaceutiche di testare i nuovi farmaci sulla popolazione pediatrica, finora esclusa dalla sperimentazione per motivi etici o indirizzi industriali. «Dal 2007 sono stati autorizzati dieci nuovi farmaci e 28 hanno ricevuto una nuova indicazione pediatrica», afferma Paolo Rossi, direttore del dipartimento di pediatria dell’Ospedale Bambin Gesù di Roma e membro del Paediatric Committee dell’Ema, l'Agenzia europea del farmaco.