In occasione della giornata mondiale, le associazioni rimarcano la disponibilità dei test diagnostici rapidi, ancora poco conosciuti in Italia
L’Hiv è ancora in mezzo a noi, ma facciamo finta di non saperlo o, peggio ancora, ne abbiamo rimosso la consapevolezza. Quasi trentamila le diagnosi effettuate in Europa nel 2016, di cui 3444 soltanto in Italia. Ma, ed è questo l’aspetto più preoccupante, nel Vecchio Continente vivrebbero 122mila persone infette, ancora ignare di essere entrate in contatto con un virus che, dopo essere passato dall’animale all’uomo, ha provocato oltre 35 milioni di decessi. Dati che confermano, come già accaduto lo scorso anno, che il numero dei contagi non è mai stato così alto, se non negli anni ’80.
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QUATTRO ANNI PER LA DIAGNOSI
Nella giornata mondiale dedicata alla malattia, i numeri diffusi dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e dal Centro Europeo per la Prevenzione e il Controllo delle Malattie (Ecdc) restituiscono l’esatta dimensione del problema, finito nel dimenticatoio dopo l’emergenza degli anni ‘80 e ’90. «Siamo convinti che il numero delle diagnosi accertate non rispecchi la realtà - spiega Andrea Ammon, direttore generale dell’Ecdc -. Nel nostro continente, al momento, una persona su sette colpita dall’Hiv non sa di essere infetta». «L’Hiv, e contestualmente l’Aids, continua a essere un serio problema per l’Europa - conferma Vytenis Andiukaitis, commissario europeo per la salute e la sicurezza alimentare -. Bisogna migliorare l’accesso ai test diagnostici, altrimenti queste persone non potranno disporre dei trattamenti efficaci oggi disponibili». In effetti i dati dimostrano un notevole ritardo diagnostico, se ogni nuovo paziente europeo impiega in media quattro anni per scoprire di essere infetto. Tempo perso per le cure, ma anche per evitare i contagi che, di conseguenza, è difficile contenere. Senza dimenticare che le persone colpite dall'Hiv hanno un rischio sei volte più alto di contrarre il virus responsabile dell'epatite C.
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I GIOVANI DI OGGI IGNORANO L’AIDS
La principale fonte di contagio rimanda alla via sessuale, che assieme a quelle ematica (aghi o trasfusioni di sangue infetti) e mamma-figlio rappresentano le tre opportunità di venire in contatto con il virus dell’Hiv. L’Ecdc segnala che il 42 per cento delle nuove diagnosi effettuate in Europa nel 2016 hanno visto protagonisti uomini omosessuali. A seguire i rapporti eterosessuali (32 per cento), mentre è in progressivo calo il contagio attraverso l’uso di siringhe infette. Un chiaro segno di come le campagne di informazione condotte sul finire del secolo scorso abbiano avuto un impatto sulla comunità dei tossicodipendenti. Preoccupano invece i dati riguardanti la sessualità, che segnalano come oggi tra i ragazzi difetti la consapevolezza a riguardo. «Negli ultimi 4-5 anni c’è stato un incremento di infezioni tra i giovani, soprattutto nella fascia tra 25 e 30 anni - conferma Andrea Gori, direttore della clinica di malattie infettive dell’ospedale San Gerardo di Monza e docente all’Università Bicocca di Milano -. Le persone eterosessuali ignorano il problema, mentre gli omosessuali sono più informate». A riguardo vale la pena ricordare che lo strumento più efficace contro l’Hiv rimane il preservativo.
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RAPIDI SU SANGUE E SALIVA
Le campagne di comunicazione lanciate in occasione del primo dicembre hanno puntato in maniera decisa sull’aumento della diffusione dei test diagnostici. Sono due i test rapidi disponibili, efficaci sulla saliva e sul sangue (puntura sul dito, come nel caso della misurazione della glicemia), attraverso la ricerca degli anticorpi contro il virus. Le risposte sono disponibili in dieci minuti. Eppure, a tre anni dal loro ingresso nella pratica clinica, c’è poca informazione sui luoghi e sui tempi in cui è possibile effettuarli. I test sono al momento disponibili soltanto in due ospedali (il San Raffaele a Milano e lo Spallanzani a Roma), ma in tutte le sedi locali delle associazioni Lila, Anlaids, Arcigay lo offrono a titolo gratuito. Presto lo saranno anche in tutte le farmacie, però.
Proprio ieri, infatti, alla Camera è stato presentato il kit diagnostico che sarà in vendita a 20 euro. Obiettivo: far emergere il sempre più numeroso esercito di inconsapevoli sieropositivi, che dopo un rapporto a rischio spesso non se la sentono di recarsi in ospedale o in un laboratorio privato per sottoporsi al test che d'ora si potrà fare direttamente a casa propria. Sarà sempre necessario però attendere i 90 giorni che costituiscono il periodo «finestra», ovvero quello che intercorre tra il presunto contagio e la produzione di anticorpi che segnalano la presenza del virus nell’organismo.
Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).