Dopo la diagnosi, gli uomini opterebbero per chirurgia e radioterapia. In molti casi a basso rischio, invece, la scelta migliore per il tumore della prostata è la sorveglianza attiva
L’ansia provocata da una diagnosi di tumore della prostata può giocare brutti scherzi.
Nella fattispecie, spingere gli uomini a scegliere una cura più aggressiva di quanto ritenuto necessario dall’urologo, col rischio di tirarsi addosso pesanti effetti collaterali non obbligatori e quindi inutili.
A condurre l’indagine per quantificare il fenomeno è stata la dottoressa Heather Orom dell’Università di Buffalo (Usa) coinvolgendo 1.531 pazienti che avevano ricevuto di recente una diagnosi di cancro della prostata, clinicamente localizzato, vale a dire che non si era diffuso in altre parti del corpo.
Per dare un’idea del dubbio sotto esame, la dottoressa Orom fa un esempio: «L’angoscia può convincere uomini con un cancro alla prostata a basso rischio a scegliere l’intervento chirurgico invece della sorveglianza attiva».
QUANDO OPTARE PER I CONTROLLI
La sorveglianza attiva consiste nel monitoraggio del tumore della prostata a rischio di progressione basso e molto basso attraverso il dosaggio del Psa, la visita e la ripetizione periodica delle biopsie.
Il presupposto su cui si basa la “sorveglianza attiva” è che l’evoluzione dei tumori a rischio basso e molto basso è così lenta che, pur evitando o rinviando il trattamento, è possibile salvaguardare la sopravvivenza.
La ricerca di Buffalo è stata pubblicata sul Journal of Urology ed è partita con la valutazione da 0 a 10 dello stress emotivo di ciascun partecipante subito dopo aver sentito la diagnosi e, di nuovo, dopo che avevano fatto la loro scelta terapeutica.
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L’ANSIA FA PREFERIRE L’INTERVENTO
«Subito dopo la diagnosi l’agitazione dei pazienti faceva intuire che la scelta sarebbe stata per l’intervento chirurgico e non la “sorveglianza attiva”», hanno scritto i ricercatori. «E, fatto importante, questa idea dominava anche gli uomini a basso rischio per i quali la sorveglianza attiva è davvero l’opzione da preferire, tanto più che permetteva forse di evitare gli effetti collaterali dell’intervento chirurgico o la radioterapia».
E’ il caso di ricordare che la chirurgia e la radioterapia tra i possibili effetti collaterali includono la disfunzione erettile, l’incontinenza urinaria, il sanguinamento rettale o urinario. «Per la maggioranza degli uomini con diagnosi di tumore alla prostata a basso rischio - sottolineano ancora i ricercatori - questi effetti sono evitabili scegliendo la sorveglianza attiva per monitorare la malattia e tenendo presenti i trattamenti curativi solo nel caso che il cancro progredisca.
Vanno informati a fondo. Non vogliamo che i pazienti facciano una scelta di cui prima o poi si pentiranno», conclude la dottoressa Heather Orom.
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CONVIVERE BENE COL TUMORE
Lara Bellardita, psicologa del programma prostata dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, riporta la su esperienza: «I nostri specialisti propongono la sorveglianza attiva dal 2005.
Da subito abbiamo avviato una ricerca sulla qualità di vita dei pazienti in sorveglianza attiva e abbiamo dimostrato e pubblicato diversi articoli tra il 2014 e il 2016, anche in collaborazione con altri ricercatori a livello internazionale, che convivere bene con un tumore che non fa soffrire è possibile per la grande maggioranza dei pazienti.
E che solo nove pazienti degli oltre 800 inclusi nel nostro protocollo sono usciti dalla sorveglianza per ansia».
SENTIRSI ACCOMPAGNATI
Continua la dottoressa Bellardita: «La proposta della sorveglianza attiva viene da noi fatta durante la visita multidisciplinare con la presenza di un urologo, un oncologo radioterapista e di uno psicologo, illustrando un percorso ben strutturato e sistematico, che fissa a priori tutti i controlli clinici e bioptici.
Le nostre ricerche continuano a evidenziare che anche dopo anni dall’entrata in sorveglianza, i pazienti si adattano molto bene a convivere con la diagnosi di un tumore che non dà dolore. Il fatto importante è che si sentono compresi e accompagnati nel loro dilemma decisionale e, una volta scelta la sorveglianza, vedono davanti a sé un cammino ben tracciato e controllato».
Conclude la psicologa dell’Istituto dei Tumori: «In questo scenario di presa in carico globale della persona, il nostro team multidisciplinare offre anche eventi informativi e psico-educazionali dedicati ai pazienti e ai loro familiari per sostenere i primi a mantenere intatta la qualità di vita e per promuovere negli altri la tranquillità nell’accompagnamento dei loro familiari».
Serena Zoli
Giornalista professionista, per 30 anni al Corriere della Sera, autrice del libro “E liberaci dal male oscuro - Che cos’è la depressione e come se ne esce”.