Uno studio americano mette in dubbio la validità dell'esame dell'antigene prostatico negli uomini sopra i 50 anni. Il professor Veronesi ne contesta qui le conclusioni punto per punto
Uno studio americano mette in dubbio la validita’ dell’esame dell’antigene prostatico negli uomini sopra i 50 anni. Il professor Veronesi ne contesta qui le conclusioni punto per punto
Lo studio di una Commissione per la medicina preventiva (United States Preventive Service Task Force) sulla validità del test PSA per l’individuazione del tumore alla prostata e anticipato nei giorni scorsi sulle colonne del New York Times, ha suscitato un polemico dibattito.
In sintesi l’analisi, basata su cinque studi clinici di uomini senza distinzione di età, arriva a tre conclusioni principali. La prima: il test del PSA (Antigene Prostatico Specifico) quale esame sicuro, negli uomini sopra i 50 anni, di individuazione del tumore della prostata, non ha validità assoluta perché non predice le differenze tra i tumori che saranno sintomatici e quelli che non lo saranno, e quindi non salva la vita. Seconda conclusione: le terapie praticate in caso positivo dell’esame hanno effetti collaterali pesanti, come impotenza e incontinenza che compromettono la qualità della vita. Terza: nel rapporto tra costi e benefici il test del PSA appesantisce i conti della sanità. In conclusione: il test del PSA non salva la vita, produce più danni che benefici, non andrebbe consigliato perché è un’eccessiva medicalizzazione. Su questo tema ecco il parere del professor Umberto Veronesi.
L’esame del PSA ha salvato e continua a salvare molte vite dal tumore della prostata, così come fa la mammografia per il tumore del seno, il pap-test per quello dell’utero, la Tac spirale per quello del polmone, la colonscopia per il colon retto. E’ vero, tuttavia, che, rispetto agli altri tumori, la situazione del tumore della prostata è più delicata, perché sappiamo che alcuni tipi evolvono più lentamente e possono non svilupparsi mai in malattia grave nell’arco della vita. Il problema tuttavia è che oggi quando scopriamo un tumore prostatico, non ne possiamo prevedere l’evoluzione, non sappiamo cioè se è sintomo di una malattia o non lo sia. Dunque nell’incertezza, lo trattiamo, perché ciò che invece sappiamo con sicurezza è che anche questi tumori, come tutti gli altri, se trattati precocemente hanno un maggior tasso di guarigione e permettono cure che salvaguardano anche la qualità di vita e non la compromettono. Infatti con l’avvento dell’era robotica, la chirurgia ha ridotto al minimo il rischio di incontinenza e impotenza legati all’intervento e inoltre da oltre 10 anni stiamo studiando l’opzione della radioterapia, che oggi ha risultati sovrapponibili alla chirurgia con un’invasività ancora minore.
Credo che la posizione della task force americana sia antistorica, perché la diagnosi precoce rimane lo strumento più potente e più efficace ad oggi disponibile per ridurre la mortalità e il peso fisico e psicologico della malattia. La posizione riportata dal quotidiano del resto non è nuova per gli americani, che già anni fa si erano scagliati contro la mammografia annuale per le donne con meno di 50 anni. Innanzitutto va precisato che queste raccomandazioni non vengono da un ospedale o un centro di ricerca, ma da un Servizio Preventivo Pubblico, che non tiene conto della dimensione umana e personale della malattia. Infatti il Governo di Obama, come ricorda lo stesso New York Times, ha deciso di ignorare queste raccomandazioni e ha continuato a rimborsare la mammografia per le donne a partire dai 40 anni.
Inoltre dobbiamo riconoscere che questa posizione si allaccia ad una corrente (che io definirei antiscientifica). che si preoccupa della eccessiva medicalizzazione della società. Come principio non siamo contrari ad evitare eccessi di cure ed esami ma questo non deve scalfire il grande progetto di diagnostica precoce. Il movimento aveva esordito contro il pap-test, poi appunto contro la mammografia, in seguito si è opposto alla Tac spirale, malgrado i dati circa un anno fa abbiano provato la sua capacità di ridurre la mortalità per tumore del polmone, ed ora si concentra sul PSA. Noi in Europa (la maggioranza della comunità scientifica) non condividiamo questo trend anti-diagnostico. Siamo stati i paladini dell’integrità del corpo e della riduzione dell’invasività di esami e cure, ma difendiamo l’utilità della diagnosi precoce, e la sua insostituibilità. Nonostante i progressi delle terapie, proprio per renderle più efficaci, dobbiamo scoprire il tumore sempre prima per poterlo trattare quando la malattia è iniziale.
Ovviamente dobbiamo trovare un equilibrio fra esami e rischio di interventi evitabili, ma la posta in gioco è molto alta perché l’incidenza del cancro è in aumento, la mortalità ancora molto elevata e la terapia al momento stabilizzata. E’ innegabile che negli ultimi 5-10 anni i progressi che abbiamo ottenuto nella lotta al cancro sono stati soprattutto nella diagnostica precoce e nella prevenzione. Penso ad esempio alla vaccinazione contro l’HPV che eliminerà il tumore dell’utero nelle generazioni future. O alla Tac spirale che produrrà nella chirurgia toracica la stessa rivoluzione della mammografia, per cui in futuro si ridurranno al minimo gli interventi di asportazione del polmone. E’ importante che nessuno fermi questa tendenza alla anticipazione della diagnosi e alla partecipazione attiva dei cittadini alla protezione della loro salute e alla salvezza della propria vita.