Somministrato dopo l'intervento, pembrolizumab riduce il rischio che la malattia si ripresenti. I risultati presentati ad ASCO Genitourinary Cancers Symposium
Nel tumore del rene l'utilizzo dell'immunoterapia con pembrolizumab in modalità adiuvante è in grado di ridurre il rischio di morte del 38%. Un risultato importante che dimostra la possibilità di guarigione dalla malattia nel lungo periodo se dopo la rimozione chirurgica del tumore viene utilizzata l'immunoterapia. A dimostrarlo sono i dati presentati negli scorsi giorni durante il congresso dell'American Society of Clinical Oncology dedicato au tumori genito-urinari.
IL TUMORE DEL RENE
Ogni anno, secondo i dati dell'Associazione Italiana di Oncologia Medica, sono circa 12.700 le nuove diagnosi di tumore del rene in Italia. Fortunatamente nell'85% dei casi la malattia viene diagnosticata quando la massa tumorale è ancora localizzata. Per questa ragione la prima strategia di cura è rappresentata dall'intervento chirurgico di nefrectomia. Quando invece la malattia è ha già formato metastasi si procede, a seconda delle caratteristiche della malattia e del grado di aggressività, alla somministrazione di terapie a bersaglio molecolare, terapie anti-angiogeniche e immunoterapia. Strategie di cura che negli anni hanno portato a notevoli progressi nel trattamento del tumore del rene.
IMMUNOTERAPIA ADIUVANTE
«Circa la metà dei tumori del rene in forma localizzata -spiega Roberto Iacovelli dell'Oncologia Medica, Comprehensive Cancer Center presso la Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS di Roma e Professore Associato di Oncologia Medica all’Università Cattolica del Sacro Cuore- può essere considerata a rischio intermedio-alto di sviluppare metastasi entro pochi anni dalla diagnosi, portando a un netto peggioramento dell’aspettativa di vita nonostante i recenti passi avanti fatti nel trattamento delle forme avanzate». Ecco perché la ricerca in questi anni si è concentrata su nuove strategie per evitare il rischio di recidiva.
LO STUDIO
La strategia testata nello studio clinico di Fase 3 KEYNOTE-564 prevedeva l'arruolamento di pazienti sottoposti a nefrectomia a rischio di sviluppare recidive. Ad un gruppo è stato somministrato pembrolizumab, all'altro un placebo. Dalle analisi, a 48 mesi dall'intervento, è emerso che la sopravvivenza globale è stata del 91,2% nei pazienti sottoposti a immunoterapia rispetto all'86% di quelli con il placebo. Ciò si traduce in una diminuzione del rischio di morte del 38% se ci si sottopone a immunoterapia adiuvante.
TERAPIA DISPONIBILE IN ITALIA
«KEYNOTE-564 è il primo e unico studio clinico nella storia del trattamento del carcinoma renale ad aver dimostrato come l’immunoterapia dopo la nefrectomia riduca il rischio di sviluppare metastasi prolungando così la sopravvivenza. Tutto ciò si traduce concretamente nella possibilità di guarire i pazienti, assicurandogli una vita libera dal tumore. Lo studio KEYNOTE-564 rappresenta quindi una pietra miliare nell’oncologia, essendo il primo studio ad aver dimostrato come l’immunoterapia con pembrolizumab possa non solo curare ma anche aiutare a guarire dal tumore renale» conclude Iacovelli. Fortunatamente, in base ai risultati ottenuti già nelle analisi precedenti, l'utilizzo di pembrolizumab in adiuvante nelle persone con tumore al rene è già disponibile nel nostro Paese.
Daniele Banfi
Giornalista professionista del Magazine di Fondazione Umberto Veronesi dal 2011. Laureato in Biologia presso l'Università Bicocca di Milano - con specializzazione in Genetica conseguita presso l'Università Diderot di Parigi - ha un master in Comunicazione della Scienza ottenuto presso l'Università La Sapienza di Roma. In questi anni ha seguito i principali congressi mondiali di medicina (ASCO, ESMO, EASL, AASLD, CROI, ESC, ADA, EASD, EHA). Tra le tante tematiche approfondite ha raccontato l’avvento dell’immunoterapia quale nuova modalità per la cura del cancro, la nascita dei nuovi antivirali contro il virus dell’epatite C, la rivoluzione dei trattamenti per l’ictus tramite la chirurgia endovascolare e la nascita delle nuove terapie a lunga durata d’azione per HIV. Dal 2020 ha inoltre contribuito al racconto della pandemia Covid-19 approfondendo in particolare l'iter che ha portato allo sviluppo dei vaccini a mRNA. Collabora con diverse testate nazionali.