L'adenocarcinoma pancreatico rimane un tumore ancora poco curabile. Un vecchio farmaco "trasformato" potrebbe aiutare in caso di metastasi
Nell'elenco dei tumori del pancreas più frequenti l'adenocarcinoma pancreatico è al decimo posto.
Ma l'equazione quasi perfetta tra incidenza (il numero dei nuovi casi sull'intera popolazione a rischio) e tasso di mortalità fa dell'adenocarcinoma uno dei “big killer”.
La maggior parte dei pazienti non supera i cinque mesi dalla diagnosi di tumore del pancreas e, dopo un lustro, soltanto il cinque per cento di essi sopravvive. Ma sebbene i dati siano poco incoraggianti, la ricerca non si è mai fermata.
Una nuova terapia, per l'adenocarcinoma è composta dall'abbinata tra il Nab Paclitaxel (un nanofarmaco) e la gemcitabina (un chemioterapico utilizzato da tempo), è stata appena approvata dall'Agenzia Italiana per il Farmaco.
Ma, contrariamente a quanto deciso a livello europeo dall’Ema (Agenzia europea per i medicinali), in Italia il farmaco non verrà rimborsato agli over 75.
ADENOCARCINOMA PANCREATICO E NANOTECNOLOGIE
A dare l'ultima speranza sono le nanotecnologie, protagoniste dello studio internazionale Mpact condotto in quasi tutti i Paesi d'Europa e negli Stati Uniti.
Il trial di fase III, presentato qualche giorno fa a San Francisco in occasione del simposio sui tumori gastrointestinali dell'American Society of Clinical Oncology, ha provato l'efficacia dell'associazione di Nab Paclitaxel (chemioterapico legato in nanoparticelle all'albumina) con gemcitabina, di norma già utilizzata nella cura della malattia.
L'analisi, condotta su 861 pazienti affetti da adenocarcinoma pancreatico, ha evidenziato nei soggetti trattati con le nanoparticelle un aumento della sopravvivenza (a un anno dalla diagnosi) del 60% rispetto a chi si è invece sottoposto alla terapia tradizionale.
Riscontri positivi sono giunti dagli esami radiologici, che hanno dimostrato una regressione del tumore primario e delle metastasi adiacenti.
L'albumina, tra i principali nutrienti delle cellule tumorali, nella terapia combinata agisce da esca. Una volta entrata nei bersagli legata alle proteine Sparc, espresse prevalentemente nell'ambiente neoplastico, libera il paclitaxel, pronto ad aggredire il tumore.
LE PROSPETTIVE
«È un risultato che apre orizzonti interessanti dopo 15 anni di sperimentazioni negative», dichiara Michele Reni, coordinatore dell'area scientifica dell'unità di oncologia medica dell'ospedale San Raffaele di Milano.
L'impenetrabilità del tumore del pancreas è dovuta alla corazza di tessuto connettivo che si costruisce attorno e che lo rende quasi irraggiungibile per i chemioterapici. «Fino a questo momento comunicare la diagnosi al paziente, che nel 60% dei casi presenta già delle metastasi, significava anticipare una prognosi infausta», commenta Salvatore Siena, direttore del dipartimento oncologico del Niguarda Ca' Granda di Milano.
La nuova terapia combinata, invece, è in grado di arrivare alla radice della neoplasia, arrestandone la crescita e favorendo la regressione.
Già applicata nella cura del carcinoma della mammella, non si è esclude che possa essere efficace contro altri tumori: melanomi, tumori della vescica, carcinomi dell'ovaio.
PREVENZIONE PER IL CANCRO AL PANCREAS
La probabilità di ammalarsi è doppia nei fumatori e nelle donne. Altri fattori di rischio sono la familiarità, precedenti episodi di pancreatite e alcune malattie genetiche, tra cui la sindrome di Lynch.
Ma la sintomatologia abbastanza generica (stipsi, ipoglicemia, calo ponderale, dolore) e l'assenza di marker specifici rende difficile la diagnosi precoce.
Spesso, quando il paziente arriva in ospedale, presenta il più grave tra i segni della malattia: l'ittero, da cui il sospetto che l'adenocarcinoma ha coinvolto il fegato e le vie biliari.
La ricerca, però, non ha perso le speranze di individuare i marcatori precoci del tumore del pancreas: finora una malattia invincibile, ma alla cui cura adesso si può guardare con più ottimismo.
Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).