Due studi italiani sul tumore al seno evidenziano il suo ruolo protettivo del sistema immunitario sul rischio di recidiva e sulla risposta alle terapie
Il sistema immunitario fa la differenza nel tumore del seno. Aiuterebbe infatti a meglio comprendere quali donne con un tumore possono trarre maggior benefico dai trattamenti e quali sono potenzialmente a rischio di recidiva. Sono queste le ultime indicazioni fornite da due studi italiani condotti dall’Ospedale San Raffaele e dall’Istituto Nazionale Tumori (INT) di Milano, in collaborazione con altri gruppi di ricerca italiani e stranieri, pubblicati sulle riviste Annals of Oncology e Clinical Cancer Research. Entrambi gli studi sono stati supportati dall’associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro (AIRC) e dalla Fondazione Michelangelo.
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TUMORE DEL SENO
Ne esistono molti sottotipi, ciascuno dei quali con diverse caratteristiche molecolari, biologiche e cliniche. Una delle caratterizzazioni più frequentemente usate divide i tumori mammari in tre gruppi: i tumori HER2-positivi, quelli cioè che esprimo in maniera importante la proteina HER2; i tumori luminali, che si differenziano per l’espressione ai recettori estrogenici ma non della proteina HER2; i triplo-negativi, che non esprimono né estrogeni né HER2 ed hanno un comportamento clinico particolarmente aggressivo.
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IL PRIMO STUDIO
Ha preso in considerazione pazienti con tumore HER2-positivo, comune al 15-20% di casi di tumore del seno, tutte trattate con una terapia con anticorpi monoclonali diretti contro HER2 combinati a chemioterapia, che rappresenta oggi il trattamento standard per questo sottogruppo. A parità di trattamento somministrato, lo studio ha analizzato le ragioni dell’estrema diversità di risposta dei singoli tumori e in particolare il diverso contributo del sistema immunitario: «La nostra ricerca - spiega il dottor Giampaolo Bianchini del dipartimento di Oncologia Medica dell’Irccs Ospedale San Raffaele e primo autore dello studio - ha preso in esame diversi fattori legati al sistema immunitario che da una parte aiutano l’effetto della terapia, e dall’altra, come una proteina chiamata PDL-1, svolga un effetto inibitorio sul sistema immunitario, rallentandone e indebolendone l’azione, con una ricaduta sulla minor efficacia del trattamento somministrato».
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IL SECONDO STUDIO
Ha fornito informazioni importanti per i tumori triplo-negativi, che rappresentano il 15% dei tumori mammari. Anche in questo sottogruppo ha un ruolo rilevante il sistema immunitario, che fa la differenza fra i tumori a rischio di recidiva basso, medio o alto. Lo studio ha preso in considerazione all’incirca 3000 pazienti, tracciandone il profilo di espressione genica per arrivare a identificare un marker immune comune, risultato composto da sei geni associati a specifiche componenti del sistema immunitario (linfociti T). In funzione di questo marcatore, le donne considerate sono state suddivise in tre gruppi, corrispondenti a un’alta, intermedia e/o bassa presenza di cellule immunitarie.
«Questa categorizzazione - ha aggiunto Bianchini – ci ha permesso di definire che pazienti con un’alta espressione del marcatore, dunque con un elevato numero di cellule del sistema immune, rispetto agli altri due gruppi sono caratterizzate da un minore rischio di recidiva sia in assenza di trattamento, ma che risulta ancora più basso dopo chemioterapia. Mentre donne con cellule del sistema immunitario scarse o assenti sono risultate maggiormente predisposte allo sviluppo di una recidiva, anche dopo somministrazione della chemioterapia». Conoscere in anticipo il rischio di recidiva - fanno sapere gli esperti - consente allo specialista di proporre a questa categoria di pazienti l’ingresso in studi clinici, quale opportunità per ricevere nuovi farmaci e nuove strategie terapeutiche con possibili esiti migliori.
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IN CONCLUSIONE
«Le prime attestazioni cui sono giunti questi due studi clinici - precisa Luca Gianni, direttore del dipartimento di Oncologia Medica del San Raffaele – invitano a impiegare, anche nel tumore del seno, farmaci immunoterapici che si sono dimostrati efficaci in molte altre neoplasie ed in grado di contrastare l’azione inibitoria di proteine, come PDL1, sul sistema immunitario. In questa direzione, si sta avviando uno studio internazionale, coordinato dal nostro ospedale, per valutare l’efficacia dei farmaci immunoterapici, utilizzati in combinazione con la chemioterapia, nel carcinoma triplo-negativo localmente avanzato». «I risultati fin qui ottenuti e la disponibilità clinica di farmaci immunoterapici e di molti altri in fase di sviluppo clinico - conclude Maria Grazia Daidone, direttore del dipartimento di Oncologia Sperimentale e Medicina Molecolare dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano - fanno sperare in nuove e interessanti opportunità di cura per questo carcinoma a più elevata aggressività, e fino ad ora ‘orfano’ di terapie specifiche».