Oggi è piena di progetti e di gioia, ma Alice fu colpita dalla leucemia linfoblastica acuta nel 1988, all'età di tre anni. Per la prima volta decide di raccontare
Il diario dei ricordi è rimasto a lungo serrato, in fondo al cuore. «La malattia non ha mai condizionato la mia vita, ma finora non ho avuto mai trovato la forza di parlarne», racconta Alice, 33 anni: di cui trenta passati da quel giorno in cui i genitori scoprirono che la loro unica figlia era stata colpita da una leucemia linfoblastica acuta, il più diffuso dei tumori del sangue tra i bambini. C'era l'intenzione, mancava però il polso che porta nel tempo chi ha lottato con il cancro a tirare fuori sentimenti, emozioni e ricordi. Paura no, in questo caso, «perché non ne ho mai avuta, nemmeno quando, da più grande, tornavo in ospedale per i controlli». Oggi Alice è una donna forte e, sopratutto, sana. Clinicamente guarita, secondo gli specialisti, che così l'hanno definita ventitre anni fa, quando frequentava la quarta elementare. Tradotto: Alice non si sottopone più alla routine degli accertamenti per verificare che la malattia non si sia ripresentata nel suo corpo.
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L'INFANZIA E LA MALATTIA
Quando le chiedo di raccontarmi la sua storia, perché la leucemia linfoblastica acuta è la stessa malattia su cui la Fondazione Umberto Veronesi ha acceso i riflettori nella campagna di raccolta fondi del 2018, Alice vuole pensarci su. Quella che per me è un'intervista delicata sì, ma come lo sono state altre, è per lei molto di più: un faccia a faccia con la prima parte della sua vita che ha finora evitato, con consapevolezza. Quarantotto ore più tardi, però, la risposta è affermativa. La molla è scattata, l'album dei ricordi può aprirsi: non prima di un lungo confronto coi genitori, necessario per ricordare un periodo dai contorni ormai sfumati. Il taccuino (mio) è aperto, il cuore (suo) pure. La corazza, per mezz'ora, può rimanere in un angolo. «Avevo tre anni, ma l'energia non era quella di tutti i miei coetanei: ero sempre stanca, pallida, quasi diafana», è quanto ricordato da sua mamma Manuela, che alla comparsa dei primi lividi sulle gambe non procrastinò ulteriormente la visita al pronto soccorso dell'ospedale San Raffaele di Milano. Il responso giunse in poche ore: Alice aveva una leucemia linfoblastica acuta. «Fui presa in carico dai medici del San Gerardo di Monza, dove effettuai prima la chemio e poi la radioterapia. Terapie continue, per tre anni. Persi i capelli quando andavo all'asilo: cominciai a capire di non stare bene, ma per me era troppo presto per capire cosa fosse un tumore. E poi avevo affianco i genitori e i nonni, che non hanno mai lasciato trasparire segni di cedimento». A seguire l'iter dei controlli. «Partono da lì i miei ricordi: per fortuna però la malattia non ha più fatto capolino».
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LA VITA DOPO IL CANCRO
Dopodiché la vita di Alice non ha mai risentito dell'incidente di percorso. «In molti, nel tempo, mi hanno chiesto quanta paura avessi avuto nel corso degli anni successivi. La mia risposta è stata sempre la stessa: zero. O comunque non mi sono mai sentita in pericolo più di quanto non potessero esserlo le altre persone. Ho sempre vissuto i controlli come una routine, d'altra parte tutto si è sempre risolto con un prelievo». Eccola, la prima lezione di Alice. La sua adolescenza, d'altra parte, è trascorsa come quella dei suoi coetanei: il liceo classico, i primi amori, lo sport (nuoto, tennis e volley) e le vacanze («Sono la mia passione, assieme agli animali»). Poi l'università, la laurea in sociologia e l'ingresso nel mondo del lavoro: senza particolari intoppi. Poi, però, il cancro tornasse è tornato a fare capolino nella sua vita. «Quattro anni fa una collega s'è ammalata di un tumore dell'ovaio ed è morta in dodici mesi. In quel momento ho dovuto rifare i conti la mia, di malattia. L'esperienza mi ha fatto capire quello che sono: una sopravvissuta». Eccola, la seconda lezione di Alice. «Era il momento di soffermarsi a pensare a quanto accadutomi. Prima avevo paura che la ferita tornasse a sanguinare. Ma sapevo anche che prima o poi avrei dovuto superare anche questo ostacolo». Anch'esso ormai alle spalle, come racconta il suo sorriso, più di ogni parola.
SE SARÒ MADRE CAPIRÒ A FONDO COSA PROVARONO I MIEI GENITORI
Oggi Alice lavora come cacciatrice di teste in una multinazionale e vive per per dare ossigeno ai suoi hobby: i viaggi, il mare e la pesca. Fa quasi effetto scriverlo, legando queste passioni a una ragazza nata a Milano e cresciuta a Varese, che oggi fa la frontaliera e lavora nel Canton Ticino. Un pieno di energia, perché basta parlare con chi il cancro lo ha superato per capire che in quel petto c'è una benzina diversa da quella con cui marciano tutti gli altri, ogni giorno. L'ultima domanda, a questo punto, è pronta per essere servita. Ma Alice la brucia sul tempo. «Parliamo della vita privata, adesso: sono fidanzata, convivo da diversi anni e ho in mente di allargare la famiglia». Diventare mamma rappresenterà probabilmente l'ultima frontiera del rapporto con la malattia. «Capirò a fondo cosa provarono allora i miei genitori e quali sensazioni registrano i miei coetanei che oggi giocano una partita così difficile, con i propri figli. L'unico consiglio che mi sento di dare loro è di essere sempre positivi: i tassi di sopravvivenza sono cresciuti sensibilmente, rispetto a quanto mi ammalai io». La chiacchierata è agli sgoccioli. «Aspetterò ancora un attimo per avere un figlio, però: ho appena cambiato azienda e tutte le energie sono rivolte al lavoro». Alzi la mano chi è convinto che non si possa andare oltre il cancro.
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Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).